Una delle donne più belle e colte del suo tempo. Capace di muoversi con grandissima furbizia e seduttiva intelligenza all'interno della corte di Ludovico il Moro (1452-1508). Una ragazzina incredibilmente adulta che affascinò una Milano carica di splendori e frequentata da grandissimi artisti e intellettuali, a partire dal geniale Leonardo da Vinci, ma che era anche una città dove gli intrighi di potere potevano rapidamente portare verso la morte. Giusto per fare qualche esempio: nel 1480 Ludovico scampò, a stento, a un attentato a colpi di pugnale. E la morte di suo nipote, Gian Galeazzo (il 21 ottobre 1494), venne da più di un contemporaneo attribuita a Ludovico che subentrò al titolo ducale.
Cecilia Gallerani (1473-1533) passò attraverso tutto questo quasi con leggerezza, armata solo di quello sguardo ironico ed eternamente erotico che trapela dal suo ritratto più famoso: La dama con l'ermellino di Leonardo. E riuscì a sopravvivere alla caduta del suo amante ed anche a ricostruirsi una vita, mentre manteneva rapporti con i grandi e gli intellettuali del suo tempo. Come ci riuscì?
Per capirlo niente di meglio del nuovo libro di Carlo Maria Lomartire: La dama e il Moro. Dietro il ritratto leonardesco, la storia di Cecilia Gallerani (Mondadori, pagg. 240, euro 19). Il giornalista milanese - che agli Sforza ha dedicato una bella precedente trilogia - ricostruisce in un romanzo che è quasi un saggio il percorso di questa ragazza che ha affascinato i potenti, da Ludovico Sforza a Isabella d'Este, destato l'ammirazione dei poeti e degli intellettuali, da Leonardo al poeta Bernardo Bellincioni, senza finire come molte altre amanti dell'epoca triturata dalle feroci macine della Storia. All'origine nulla avrebbe potuto far presagire il suo percorso. I Gallerani erano venuti a Milano da Siena cacciati dai guelfi nei primi anni del Quattrocento. Ricchi ma non iscritti al patriziato cittadino avevano ricoperto incarichi importanti ma non certo tali da brillare a corte. Per di più il padre di Cecilia era morto all'improvviso, nel 1480, lasciando otto figli. Alle due femmine, Cecilia e la sorella Zaneta, spettava soltanto una non strepitosa dote di mille ducati. La famiglia cerca di maritarla al molto più anziano Giovanni Stefano Visconti, membro di una famiglia benestante ma non imparentata coi precedenti duchi di Milano. Il matrimonio non va a buon fine. Ma nel frattempo i Gallerani intentano una causa contro la potente Collegiata di Monza per il possesso di alcune proprietà terriere in Brianza. Per farlo ricorrono al reggente del ducato Lodovico il Moro. La causa vede tutta la famiglia presentarsi al cospetto del Moro e ciò fa scoccare la scintilla a cui Lomartire da corpo e sangue attraverso tutto il romanzo.
In breve tempo Cecilia viene fatta trasferire dal futuro Duca di Milano che però de facto controlla già la città mentre l'imbelle nipote Gian Galeazzo è collocato in un fastoso «esilio» pavese, in una sfarzosa abitazione che diventa il nido del loro (da subito chiacchieratissimo) amore.
La giovane accorta, attenta, seduttiva, sfrutta al meglio la situazione per favorire la sua famiglia. Il Moro non si trova difronte una sprovveduta ragazzina ma una giovane donna, che grazie alle molte attenzioni che le ha dedicato il padre padroneggia la lettura e la cultura. Conscia della situazione, accetta il ruolo dell'amante guardandosi bene dal mettersi di traverso ai progetti matrimoniali del Moro, il quale da tempo ha deciso di legarsi alla famiglia Este attraverso un matrimonio con la giovane Beatrice, figlia di Ercole I, duca di Ferrara.
Mentre alla corte Estense si facevano costanti pressioni per il suo allontanamento da corte, contribuì a creare a Milano un clima intellettuale festoso. Riuscì a rimanere in cinta di Ludovico e a fornirgli così un figlio maschio, Cesare Sforza. Quando dopo l'arrivo a Milano di Beatrice accettò l'allontanamento dal Castello Sforzesco e il matrimonio con Ludovico Carminati di Brembilla. A quel punto fu lei a respingere nuove advances del Moro e a competere con la duchessa solo nell'ambito dell'influenza culturale sulla città. Ma nel frattempo aveva già posato per il celebre quadro leonardesco: La dama con l'ermellino. Forse il quadro più bello del pittore di Vinci. Attraversato da una profonda simbologia. Ed è proprio quella che rende praticamente certa l'identificazione della modella in Cecilia Gallerani. L'ermellino infatti, oltre che simbolo di purezza e di incorruttibilità (annotava lo stesso Leonardo che «prima si lascia pigliare dai cacciatori che voler fuggire nell'infangata tana, per non maculare la sua gentilezza», cioè il mantello bianco), si chiama in greco gal. Una chiara allusione al cognome di Cecilia. Ma nel quadro c'è anche un altro rimando più sottile. Ludovico il Moro ricevette, nel 1488, il prestigioso titolo onorifico di cavaliere dell'Ordine dell'Ermellino dal re di Napoli Ferdinando I di Aragona. Un'onorificenza a cui teneva tantissimo. E dunque quello che Cecilia nel quadro tiene tra le braccia è proprio simbolicamente Ludovico il Moro. Un quadro così eccezionale da essere cantato già dai contemporanei come il poeta Bernardo Bellincioni: «Di che ti adiri? A chi invidia hai Natura/ Al Vinci che ha ritratto una tua stella:/ Cecilia! sì bellissima oggi è quella/ Che a suoi begli occhi el sol par ombra oscura».
Questa la Storia. La bravura di Lomartire è poi quella di dare spessore ai personaggi, alle loro emozioni.
Nel tessere questi destini incrociati riesce a raccontare molto bene anche il rapporto tra la Gallerani e Isabella d'Este, la famosa e ammiratissima duchessa di Mantova che pur essendo sorella di Beatrice (moglie del Moro) la trattò con rispetto e favore. Soprattutto guarda dal lato femminile agli eventi che portarono alla caduta delle «libertà d'Italia» e al crollo del mondo dorato del rinascimento. Di cui Cecilia fu una delle muse.
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