Damiano perde già i «suoi» sindacati

Sulle pensioni l’ex dirigente Fiom irrita subito Cgil, Cisl e Uil E sulla legge Biagi la Rosa nel pugno si smarca e contesta l’Unione

Damiano perde già i «suoi» sindacati

Antonio Signorini

da Roma

Non ha dovuto aspettare molto il neoministro del Lavoro Cesare Damiano per sperimentare la difficoltà di stare dall’altra parte della barricata. All’ex esponente della Cgil è bastata un’uscita sulla riforma delle pensioni per suscitare reazioni stizzite nei sindacati. E anche sulla legge Biagi, l’esordio del governo Prodi è stato accolto dal riaffiorare dentro il centrosinistra e tra le parti sociali di tutti i distinguo della quattordicesima legislatura.
Forse pesa la fretta di Cgil, Cisl e Uil, che hanno preso sul serio la volontà del governo di tornare alla concertazione. «Un tavolo con i sindacati? Non ho ancora la scrivania», ha detto un Prodi preso alla sprovvista. Le organizzazioni dei lavoratori non nascondono la volontà di pesare sulle scelte dell’esecutivo. A partire dalle pensioni. Guglielmo Epifani, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti ieri hanno dato una risposta identica a Damiano. «Non capisco - ha detto il leader della Cisl - perché il ministro abbia detto "via lo scalone" e che non è prioritario l’avvio della previdenza integrativa. La priorità è l'accordo sul Tfr». D’accordo il segretario generale della Cgil secondo il quale la riforma che finanzierà la previdenza complementare attraverso le quote del trattamento di fine rapporto «deve avviarsi subito». Seconda priorità «la previdenza complementare del settore pubblico» e infine «c’è il problema dell’innalzamento dell’età fatto con lo scalone, che dovrebbe scattare nel 2008». Sullo stessa linea d’onda il segretario della Uil e anche Renata Polverini, segretario generale dell’Ugl che chiede una iniziativa «incisiva» proprio a partire Tfr. Ieri Damiano ha precisato che «nel nostro programma c’è anche il decollo rapido della previdenza integrativa». E assicura che qualunque decisione sarà preceduta dalla concertazione. D’altro canto - ricorda - «io sono stato il primo presidente di Cometa (il fondo pensione dei metalmeccanici, ndr). Ho fatto della previdenza integrativa la bandiera della mia attività».
Più complessa la partita sulla legge Biagi. La Casa delle libertà ha annunciato battaglia. Silvio Berlusconi l’ha messa in testa alle riforme che il centrodestra difenderà in Parlamento. L’opposizione punta il dito contro le parole che Damiano ha speso sul Libro bianco, il progetto di riforma firmato da Biagi («ha eroso quell’elemento impalpabile che si chiama coesione sociale»). Dichiarazioni, ha sottolineato l’ex sottosegretario Maurizio Sacconi, che, insieme a quelle pronunciate da Romano Prodi nel suo discorso di insediamento «fanno prevedere uno scontro aspro tra le coalizioni su temi così rilevanti per lo sviluppo economico e sociale del Paese». E l’impressione che di spazi bipartisan ce ne siano pochi, è rafforzata dal vespaio causato da un complimento che l’ex ministro del Welfare Roberto Maroni ha tributato a Damiano. Se il capogruppo leghista dichiara «stima» per il suo successore, l’europarlamentare del Pdci Marco Rizzo ritraccia il confine tra maggioranza e opposizione: «Il ministro Damiano non ha bisogno dei suoi consigli».
Le parole del nuovo inquilino di via Flavia sul Libro bianco hanno suscitato perplessità anche nella Rosa nel pugno. Daniele Capezzone si è detto «sconcertato» e ha chiesto al neoministro di fare marcia indietro. Questioni terminologiche, si potrebbe obiettare. Ma la riforma della lavoro pone sfide più che concrete.

E a ricordarlo al governo è stato Maurizio Beretta, direttore generale di Confindustria: «Sulla legge Biagi la nostra posizione è molto chiara da tempo: abbiamo sempre detto che è una riforma che va nella giusta direzione, che dev’essere assolutamente salvaguardata, difesa e completata con gli ammortizzatori sociali».

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