DAMIEN RICE Ex vagabondo ribelle ora fa il tutto esaurito

Stasera è al Festival di Villa Arconati, in dicembre applausi al Conservatorio

Quattro anni fa lo incontrammo in un albergo di lusso milanese, mentre molto in sordina presentava il suo primo cd (che poi zitto zitto ha venduto oltre un milione e mezzo di copie). Era un ragazzino irlandese di Celbridge, contea di Kildare, dall’aria sciatta, all’apparenza intimidito ma molto deciso nel difendere le sue idee ambientaliste e pacifiste, nel tutelare la sua scelta di ribelle vagabondo.
Damien Rice a quel tempo arrivò in Italia accompagnato da un pugno di ballate acustiche scarne, intimiste, legate ma al tempo stesso affrancate dal folkangloirlandese. Un John Renbourn moderno, un cantautore che è diventato eroe di culto puntando soltanto sull’emotività delle sue canzoni, senza troppe promozioni né chiacchiere né spinte mediatiche (anche se pochi giorni fa ha partecipato al Live Earth). «La musica deve funzionare per se stessa, non grazie all’aiuto di qualcuno che convince la gente ad ascoltarla - diceva -; le canzoni devono comunicare emozioni, altrimenti nascono false e ipocrite». Sembravano i discorsi di un trentenne in lotta contro i mulini a vento, invece Rice non ha cambiato strada o idea. Piuttosto le sue canzoni hanno fatto centro; non solo nell’anima dei suoi ormai affezionati fan, ma anche della gente del cinema. Il suo pezzo più noto ai non addetti ai lavori, The Blower’s Daughter, è stato colonna sonora del film Closer (con Jude Law, Natalie Portman, Julia Roberts) e Crimes dall’ultimo cd 9 è finito nelle musiche di Shrek 3. Senza contare telefilm come Lost (nella cui colonna sonora c’è Delicate), Crossing Jordan, Grey’s Anatomy (che ha preso From a Whisper to a Scream), One Tree Hill (che contiene Grey Room). Eppure i suoi brani sono melanconici, raccolti, con poche concessioni alla spettacolarità.
«Scrivo per soddisfare un mio bisogno interiore, non penso a ciò che succederà dei miei pezzi, ma quando li trasformo in un disco o li suono su un palco vuol dire che credo in loro, che fanno parte della mia vita». Un ragazzo dalla vena artistica fertile e dalle idee precise (è impegnato nel sociale sia contro l’inquinamento sia in alcune campagne per liberare leader politici arrestati in Africa e in Asia) che si ritrova ad essere una piccola star. Lo scorso dicembre ha suonato addirittura al Conservatorio e stasera il Festival di Villa Arconati si prepara al tutto esaurito per accoglierlo. Al suo fianco non c’è più la voce (e a tratti la chitarra e il basso) di Lisa Hannigan; Rice prosegue esibendosi a volte da solo, a volte con Vyvienne Long al cello e Tom Osander alle percussioni. Nel repertorio di stasera riflette tutta la sua delicata poetica, i suoni rarefatti e le liriche ora di denuncia, ora d’amore ma mai banali e sdolcinate perché - come dice lui - «la vita può essere romantica ma soprattutto è dura e difficile e bisogna raccontarla con lealtà». C’è la sua esperienza di vagabondo in giro per l’Europa (ha girovagato per un pezzo anche in Italia, armato di chitarra acustica, prima di diventare famoso) e i ricordi dei Juniper, la sua prima band con cui debuttò nel mondo del rock pubblicando un paio di singoli di scarso successo prima di trovare la giusta via.

Folgorato dalla sensualità dei suoni acustici e delicati che lasciano il segno più di una schiera di chitarre elettriche.
Damien Rice
stasera ore 21
Villa Arconati a Castellazzo di Bollate
ingresso: 28/32 euro

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