«È davvero dura vendere il latte ora che nascono meno bambini»

Oggi le latterie di Milano si contano sulle dita di due mani. Resistono quelle un po’ fané dei quartieri periferici, con piccolissimo bancone bar, un tavolino per sedersi a bere un cappuccino, un rumoroso frigo con formaggi e affettati e qualche scaffale perlinato colmo di generi alimentari confezionati. «Mi salvo proprio perché ho questo angolino - bar - dice un esercente di via Inganni - vendere il latte, nei quartieri dove non nascono più bambini, è davvero dura». Anche per questo le poche latterie che ancora resistono, tendono a diversificarsi dallo standard classico: ecco allora le «Boutique del formaggio» o ancora il «Centro della mozzarella - produzione propria» (all'inizio di via Teodosio, a Lambrate). Poi ci sono le latterie «storiche» che, come il negozio di via Salvini, cercano di stare nella tradizione del «pranzare a poco», come in via Tortona 1, dove con otto euro si riesce ancora a mangiare (solo a mezzogiorno) o al 26 della stessa via, dove la famiglia Davenia sfama da anni intere generazioni di modelle che si siedono ai quattro tavolini, a mangiare panini, attratte dall'atmosfera Anni Cinquanta che ancora si respira. Viva e vegeta la Latteria San Marco, nell'omonima via. Resiste al tempo anche la Vecchia Latteria al numero 6 di via Unione. Qualcuno dice che il locale, oggi trasformato in un angolo radical chic vegetariano, sia datato 1865.

Vecchia latteria trasformata in ristorantino anche il Noi due, in viale Col di Lana (piatti macrobiotici ma venatura casalinga) e il nuovo Biancolatte in via Turati, 30, dove l'intento dei gestori è quello di far rivivere l'atmosfera, ancorché rivisitata, delle tradizionali latterie meneghine.

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