"Declino terminale": The Economist titola così un’analisi dedicata all’Alitalia e alla sua cessione

Milano - "Declino terminale": così il settimanale britannico The Economist titola, sul numero in uscita, un’analisi dedicata all’Alitalia e alla sua cessione. Viste le condizioni poste dal governo per le offerte da parte dei potenziali acquirenti, sostiene il giornale, «non è possibile attendere proposte da parte di operatori» dotati di raziocinio, che dovrebbero «mantenere tutti i 18.000 lavoratori». Nessuno dei potenziali acquirenti, Air France, Air One o un fondo di investimento «dovrebbe fare una mossa a breve».

Secondo il settimanale, l'operazione di privatizzazione sembra dunque configurarsi come «una cinica, seppur necessaria sciarada». Al termine della quale «appare più probabile che i possibili candidati attenderanno il momento in cui la compagnia avrà problemi di liquidità» e «resterà a terra» a causa dei costi del carburante e delle spese aeroportuali. In questo caso, «dopo una settimana di lamento nazionale a “denti stretti”, Alitalia potrebbe rinascere con il 60% del personale in meno, come ramo regionale del potente gruppo Air France-Klm». In analogia, spiega il settimanale, con quanto avvenne con Swissair, finita nell'orbita di Lufthansa, con Sabena e United Airlines.

La tesi dell’Economist, in altre parole, è che la richiesta di manifestazioni d’interesse vada deserta e che quindi per l’Alitalia si possa aprire la strada del fallimento. La stampa britannica ha certo qualche retropensiero, visto che Air France, tuttora il candidato più probabile ad «accogliere» Alitalia non nel breve ma nel medio termine, è uno dei principali concorrenti di British Airways.
Che il 29 gennaio non si facciano avanti candidati all’acquisizione è un’ipotesi ritenuta «molto improbabile» negli ambienti del ministero dell’Economia, che - detto per inciso - prima di emettere il bando si dev’essere in qualche modo tutelato da quello che sarebbe un fiasco sotto il profilo politico. Altra ipotesi è che manifestazioni d’interesse provengano soltanto da soggetti con garanzie (non solo finanziarie) ritenute incongrue, desiderosi soltanto di ottenere qualche titolo sui giornali (ieri sono giunte, come riferiamo a parte, le prime parole di disponibilità da un finanziere finora estraneo al trasporto aereo, Paolo Alazraki). Anche questa, tutto sommato, appare un’ipotesi piuttosto remota. Non va comunque dimenticato che lo strumento per cedere Alitalia in qualunque momento, anche durante l’arco di tempo del bando o dopo la sua chiusura, il Tesoro ce l’ha: ed è il decreto del presidente del Consiglio del 3 febbraio 2005, in base al quale l’Alitalia fu dichiarata cedibile. Il fallimento della compagnia, come adombrato dall’Economist, sarebbe un increscioso boomerang per il governo, al quale verrebbero immediatamente rivolte accuse di favorire speculazioni e sciacallaggi.


Ieri in Borsa il titolo Alitalia è sceso, riuscendo però a mantenersi sopra quota 1: meno 1,51% a 1,04 euro. Interessante il dato sugli scambi: sono stati compravenduti 47,16 milioni di pezzi, pari al 3,5% del capitale.

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