Cronaca locale

«Il decreto Bersani è come il Grande Fratello»

«Con la firma di Visco c’è anche un grande accanimento contro le piccole imprese»

«I punti in agenda per il vertice del 25 luglio sono già definiti? Be’, vorrà dire che ci faremo aggiungere anche i punti stilati dalla Regione Lombardia». Roberto Formigoni è pronto ad accogliere Prodi e i suoi ministri, a Milano, così: con spirito costruttivo ma, anche, a muso duro. Sottoponendogli una per una le criticità riscontrate sulle scelte di politica economica fatte dall’attuale Esecutivo, «perché - osserva il governatore - c’è materiale a sufficienza per investire in pieno la questione settentrionale» e per convocare ieri, al Pirelli, una conferenza stampa ad hoc.
Le critiche partono dal Decreto Bersani sulle liberalizzazioni, paragonato da Formigoni a un «Grande fratello su ogni attività economica. Agisce con meccanismi inquisitori, complica le cose, impone controlli eccessivi in maniera controproducente», al punto da non escludere un ricorso alla Consulta per incostituzionalità, come chiesto nei giorni scorsi - con una specifica mozione consigliare - dagli alleati di An.
Tre i punti contestati: le misure «mortali» per municipalizzate e società regionali, «costrette a operare con gli enti costituenti e impossibilitate a svolgere prestazioni extra con privati o altri soggetti pubblici. Perché la stessa stretta mortale non viene applicata alle società statali, che invadono il mercato ben più pesantemente?».
Sotto accusa pure l’articolo 30 del decreto, che «tende - secondo Formigoni - a mettere sotto tutela le amministrazioni locali e regionali pretendendo di trattare in modo uguale realtà disuguali, tra chi è virtuoso come noi e chi non lo è. Per esempio, nelle spese del personale».
Infine, l’accanimento fiscale contro le piccole e medie imprese «che porta più la firma di Visco che di Bersani». Gli esempi a sostegno della tesi formigoniano sono: l’obbligo di fideiussione per aprire una partita Iva e il monitoraggio dei conti correnti per importi superiori a 1.500 euro. «Questi sono metodi oppressivi - ha detto il governatore - che rischiano di far considerare cittadini e Pmi come una massa di potenziali evasori. Si tratta del solito preconcetto di chi considera le attività autonome e le piccole imprese come una anomalia che va sanata e non come la ricchezza del Paese, quasi dovesse esistere solo la grande industria».
«Inspiegabile» per il governatore pure l’inserimento di un «codicillo» riguardo al contratto collettivo del trasporto pubblico e che prevede l’esclusione dal patto di stabilità delle spese «ricadenti sul territorio della Capitale della Repubblica». «Cosa vuol dire, che i pendolari romani hanno più diritti dei nostri?» chiede Formigoni. Che muove critiche pure al Dpef governativo, dove «manca ogni riferimento al federalismo fiscale, non c’è ombra del tradizionale allegato sulle infrastrutture quasi a conferma che non le si vogliono fare e non affronta, com’era invece tradizione, la materia sanitaria prima dell’estate trattando questa voce come uno dei grandi aggregati di spesa da ridurre».
Critiche arrivano pure da An, con Corsaro («è stata aggirata da Bersani la potestà legislativa regionale sancita dalla Costituzione») e dalla Lega, con Boni («è un attacco diretto al Nord»). Infine dal neo assessore Cattaneo parte una domanda: «Se si vuole liberalizzare davvero, perché non si coinvolge pure la scuola? Forse lì ci sono lobby più vicine all’Unione di quella dei tassisti?».

Per il 25 luglio il barometro politico, in Lombardia, preannuncia tempesta.

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