Deneuve e Mastroianni: «Che ipocrisie nelle famiglie»

Madre e figlia interpreti di «Un conte de Nöel», film francese sui difficili rapporti tra le mura di casa

nostro inviato a Cannes

«No, fortunatamente io e Chiara non avevamo nel film delle scene a due... Detto così suona male, lo so, ma il senso è che non c'è stato nessuna occasione di preoccupazione. Comunque, come me, Chiara di professione fa l'attrice, e quindi...».
Bionda e matronale, Catherine Deneuve troneggia a fianco di una castana e longilinea Chiara Mastroianni e la rassomiglianza, pur nella diversità, è impressionante. Si capisce che alla prima l'avanzare dell'età fa orrore, anche se ancora riesce a scherzarci sopra. «È vero, giro sempre più film con giovani registi, ma non è colpa mia se, tolto Manoel de Oliveira, che quest'anno festeggia proprio qui a Cannes i suoi cento anni, di registi in attività più vecchi di me non ce ne sono molti a disposizione».
Madre e figlia sono protagoniste di Un conte de Nöel, Una favola di Natale, di Arnaud Desplechin, primo film francese in concorso al Festival. Lei è Junon, la matriarca di una famiglia numerosa, quattro figli, di cui uno morto in tenera età, tre nipoti, Chiara è Sylvia, la nuora poco amata perché ha sposato Ivan, il più piccolo, il preferito e il più viziato dei due maschi.
«Non credo che l'amore materno sia innato - dice ancora la Deneuve - e c'è molta ipocrisia nel dire che i figli sono tutti eguali agli occhi della loro mamma. Ipocrita è anche pensare che una coppia che si ama molto trasmetta questo amore ai propri figli... Al contrario, impegnata com'è reciprocamente, toglie spazio a chi arriva dopo e lo reclama... La famiglia è una strana cosa».
Che sia «strana» lo pensa anche il regista, ma non sull'onda, tipicamente francese, del «famiglie io vi odio» di Andrè Gide o del «groviglio di vipere» alla François Mauriac.
«Non la vedo come una patologia, un veleno, la morte dei sentimenti - dice Desplechin - ma come un'istituzione che spesso ha bisogno di una minaccia esterna, la perdita di uno dei suoi membri, una malattia, per funzionare internamente».
In Un conte de Nöel questa minaccia si presenta sotto forma di una leucemia genetica molto rara, la stessa che a sei anni di portò via Joseph e che ora avvelena il sangue di Junon. Occorre un impianto di midollo spinale e un donatore compatibile: potrebbe essere Henri, il figlio scapestrato e come tale bandito dal focolare domestico, o Paul, il giovane nipote, un adolescente torturato dall'angoscia e dal malessere.
Intorno a questa scelta e alle festività natalizie nelle quali si avranno i responsi medici e si prenderanno le decisioni, ruotano caratteri, modi di essere, amori mai sopiti, rancori tenaci, ma ormai senza più senso. Nel rapporto conflittuale fra la figlia primogenita Elizabeth, scrittrice, e il figlio cadetto, Henri, trafficone, si nasconde la volontà di lei di brillare davanti all'immagine materna e in fondo di sostituirla, nell'amicizia fra Ivan e il cugino Simon l'amore per la stessa ragazza, Sylvia, che ha sposato il primo perché l'altro gli ha lasciato consapevolmente campo libero. «È un bel personaggio quello di Sylvia» dice Chiara Mastroianni. «Per caso ha la conferma di ciò che ha sempre sospettato, l'essere stata scelta senza poter scegliere. Non è stata infelice, ma si sente come una capra o un cammello, ceduta, venduta senza poter dire né sì né no, e ora decide di prendersi anche quella parte di felicità che le è stata tolta e che non ha conosciuto».


Meditazione toccante sul lutto e sull'assenza, Un conte de Nöel racconta anche, nel quadro corale di una famiglia borghese in una Francia provinciale sempre più di moda sugli schermi, la paradossale forza positiva degli affetti negativi quando a muoverla è il sentimento doloroso della perdita, la sua impossibilità a colmarla, il disperato tentativo di ristabilire quei ruoli che l'età ti regalò e poi ti tolse. Perché agli occhi dei genitori i figli non crescono mai e agli occhi dei figli i genitori appaiono immortali.

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