Ci sono capanne in fiamme. Ci sono guerriglieri venuti di notte con i kalashnikov e i machete. Ci sono i fratellini, le sorelline, gli amichetti e tutti quelli che non ce la facevano più. Alcuni in piedi, legati, in fila. Altri a terra, insanguinati, sparati con i kalashnikov, fatti a pezzi con i machete. E poi loro, i bimbi rapiti, costretti a marciare incatenati, addestrati dai loro rapitori, trasformati in soldati spietati capaci di uccidere e razziare a comando.
Le loro storie, i loro mille ricordi sono tutti nei disegni esposti allUniversità Cattolica di Milano (da oggi al 1° dicembre). Quei disegni servivano a Lucia Castelli, il medico pediatra che guida da sette anni le attività dellAvsi a Kitgum, Nord Uganda, per far rievocare agli ex soldati bambini le loro esperienze, alleviare i loro traumi, rieducarli alla vita civile. Quando Elisabetta Ponzone, laddetto stampa dellorganizzazione umanitaria, andò in visita laggiù e li vide ebbe un colpo al cuore. «In ognuno di quei disegni cera una tragedia che nessuna testimonianza, nessun articolo poteva raccontare».
Da quel colpo al cuore grazie al lavoro di tutti i volontari dellAvsi è nata una mostra che è una vera e propria discesa nellinferno del Nord Uganda. Un cammino alla scoperta di sedici anni di massacri scanditi dalle incursioni dei ribelli dellEsercito di Resistenza del Signore. Alla loro testa cè Joseph Kony, un quarantenne visionario vestito di sgargianti tuniche femminili convinto di esser stato inviato dallo Spirito Santo per rieducare le tribù acholi. Per questo il folle Kony stermina le famiglie, ne fa rapire i fanciulli, li incatena in lunghe file guardate da altri coetanei già addestrati a uccidere, li costringe a trasportare i carichi di merci razziate fino ai santuari oltre il confine sudanese. Chi si lamenta, chi non resiste alle marce forzate, viene massacrato a colpi di machete. E lonere dellesecuzione, prima lezione di sopravvivenza, spetta allamico o al fratello. Chi arriva vivo nelle basi viene unto con lolio di ghianda e addestrato alluso del kalashnikov. Dopo quel rito diniziazione è anche lui pronto a uccidere, rapire e razziare. Fino a quando troverà la forza di fuggire o sarà catturato dai soldati governativi ugandesi. Dopo la liberazione, tocca ai volontari dellAvsi ricostruire quegli scampoli di vite interrotte. E i disegni sono uno dei primi strumenti di terapia.
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