Devoluzione, Bossi torna a Roma «La riforma serve anche al Sud»

Dopo l’ok servirà il referendum confermativo. Calderoli: «Siamo noi i primi a volerlo»

da Roma
Dopo un’estate passata a «ritemprarsi» in giro per la feste della Lega sparse tra le valli del Varesotto, dopo Pontida, il Monviso e Venezia, Umberto Bossi fa un altro passo nel suo lento recupero verso la normalità. E torna in quella Roma che per anni è stata «ladrona» e che stasera potrebbe regalargli la tanto agognata devoluzione. Sono passati 614 giorni da quell’11 marzo dello scorso anno che l’obbligò a lasciare la scena con la riforma costituzionale impantanata al Senato. E oggi il Senatùr torna a Palazzo Madama per «festeggiare» l’ultimo atto di quella che è la ragion d’essere del Carroccio, «il motivo - dice Roberto Calderoli - per cui Umberto è entrato in politica».
Bossi atterra all’aeroporto di Ciampino poco dopo le 14 in compagnia del ministro delle Riforme. Il primo appuntamento in agenda è a Palazzo Giustiniani con Marcello Pera, un incontro - lo definisce Calderoli - «molto commovente perché i due non si vedevano da quasi due anni». Camicia a scacchi e andatura un po’ affaticata, il Senatùr arriva a Palazzo Madama poco prima delle 15. Con lui, oltre al figlio e a Calderoli, anche il sottosegretario alle Riforme di Forza Italia, Aldo Brancher, da sempre molto vicino alla Lega e al suo leader. Con Pera il colloquio è amichevole e informale. Bossi ha parole di elogio per il presidente del Senato, perché «grazie alle tue battaglie in difesa delle identità sei diventato una delle figure più autorevoli della Casa delle libertà». La stima è reciproca e Pera gli lascia in dono il libro del Papa di cui ha firmato la prefazione, L’Europa di Benedetto. Il Senatùr scambia qualche battuta anche con la moglie del presidente: «La moglie è una cosa importantissima per ogni uomo». Ma si parla anche di politica, delle prossime elezioni («Sono sicuro che ce la facciamo a vincere», dice Bossi) e della riforma della legge elettorale. «Ora pensiamo al voto sulla devoluzione, poi ne discutiamo», spiega il Senatùr mostrandosi comunque disponibile ad approfondire la possibilità di eventuali modifiche di un riforma che né lui né Pera hanno mai amato troppo.
Lasciato il Senato, Bossi si dirige verso casa di Brancher, di cui è ospite. Da Milano, intanto, arrivano anche la moglie Manuela Marrone e gli altri due figli. Oggi saranno con lui nel palco presidenziale del Senato per la «grande festa» e il successivo brindisi al gruppo della Lega. Per Bossi è già pronto un regalo: la nuova Costituzione rilegata con copertina verde. La sera, a casa Brancher si riunisce un folto gruppo di «vecchi amici». Giulio Tremonti si presenta con due enormi buste della spesa («Dopo questa Finanziaria l’unico che può spendere è lui», ironizza Calderoli) e insieme al ministro delle Riforme cucina due primi. Poi, polpette, vino rosso e dolcetti alla pasta di mandorle. A tavola ci sono anche i ministri Maroni e Castelli, Giancarlo Giorgetti e il capogruppo dell’Udc al Senato, Francesco D’Onofrio. Per lui, Bossi ha parole di elogio, perché «hai fatto bene a dire che questa è una riforma dell’intera coalizione». Poi si scherza sulle origini comuni di sua moglie e di D’Onofrio, entrambi dell’Agrigentino, e il Senatùr sottolinea come «questa riforma sia importantissima anche per il Sud». Bossi si rivolge poi a Tremonti: «La banca del Sud è una buona idea, è il segno che all’unità nazionale ci teniamo davvero». Si parla pure del referendum confermativo («È bene che arrivi subito dopo le elezioni – spiega il Senatùr – così ne faremo argomento di campagna elettorale») e della riforma proporzionale («i partiti devono riacquistare il rapporto con il territorio»).
Sulla devoluzione, però, resta cauto più che mai, perché i voti di margine sono pochi. «Aspettiamo... aspettiamo che sia fatta davvero», aveva detto cauto lunedì in via Bellerio. E non è un caso che ieri La Padania abbia deciso per la linea del basso profilo: sul «grande giorno» neanche una riga in prima, solo un pezzo al piede di pagina 7. Insomma, la parola d’ordine è «cautela».

Non è un caso che, lasciando Palazzo Giustiniani, a chi gli chiede se il «grande momento» sia arrivato Bossi si limita a una battuta: «Speriamo... è un obiettivo di tutta la Casa delle libertà, ormai sono diventati tutti federalisti».

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