Politica

Il diabete sconfitto con le cellule staminali

Monica Marcenaro

La sua vita non è più scandita dai test giornalieri della glicemia e dalle iniezioni di insulina. Grazie a un trapianto combinato di cellule staminali, prelevate dal midollo osseo, e di cellule pancreatiche, una donna italiana di oltre quarant'anni, diabetica da tempo, è tornata ad avere normali parametri biologici. Ha detto addio all'insulina, come tanti altri diabetici sottoposti a trapianto di isole pancreatiche, e in futuro potrebbe non aver più bisogno neppure dei farmaci antirigetto, grazie proprio all'opera delle staminali prelevate dal midollo di un donatore.
L'intervento, effettuato due mesi fa a Miami da un'equipe tutta italiana, coordinata dal dottor Camillo Ricordi, è il primo del genere al mondo a cui ne seguiranno altri cinque, tutti autorizzati dalla Food and drug administration.
A due mesi dal trapianto, i valori della donna sono definiti ottimi: la glicemia, ha spiegato Ricordi, si è normalizzata e stabilizzata. «È la prima volta - ha precisato lo scienziato - che abbiamo ottenuto l'indipendenza dall'insulina dopo una singola infusione di cellule che producono insulina e due infusioni di cellule staminali purificate dal midollo osseo di uno stesso donatore».
«La nostra idea - ha puntualizzato Ricordi - è quella di purificare le cellule staminali prelevate dal midollo osseo, far coesistere il sistema immunitario del donatore con quello del ricevente e far accettare al meglio le cellule delle isole pancreatiche che normalmente producono insulina. Se questa strategia sarà vincente, pensiamo in futuro di poter ridurre i farmaci immunosoppressori. Quello effettuato finora è il primo trapianto combinato del genere - ha sottolineato il coordinatore dell'equipe - e l'obiettivo è di trasferire le tecniche che abbiamo messo a punto con questa ricerca nei centri italiani dove si effettuano trapianti di isole pancreatiche». Primo e unico ospedale in Italia è il San Raffaele di Milano dove Ricordi si è laureato e ha iniziato la carriera clinica.
Lo studio condotto negli Stati Uniti ha visto il coinvolgimento di donatori multipli. Solo quando il donatore è disponibile i medici prelevano anche frammenti di midollo osseo, dal quale estraggono le cellule staminali. Con questa strategia combinata i ricercatori sperano di poter creare il cosiddetto «chimerismo», cioè una condizione nella quale le staminali del donatore potranno coesistere con il sistema immunitario del ricevente.
«Da quando abbiamo effettuato il primo trapianto di isole pancreatiche nel 1990 - ha concluso Ricordi - ci siamo concentrati sullo sviluppo di strategie per ridurre ed eliminare nel tempo i farmaci antirigetto. È presto per dire se questo studio ci permetterà di raggiungere l'obiettivo, ma siamo davvero entusiasti di questo successo iniziale».
«I trapianti di isole o cellule pancreatiche fanno parte della nostra routine - spiega il professor Antonio Secchi, responsabile del programma trapianti del San Raffaele - in Europa ci sono solo altri due centri, uno a Ginevra e l'altro a Bruxelles, dove si fanno questi interventi che sono indicati solo in quei pazienti diabetici gravi che non rispondono più all'insulina. Sono interventi risolutivi, il diabetico si libera dalla routine delle iniezioni, hanno un successo nel 70 per cento dei casi ma che obbligano il malato a sottoporsi per il resto dei suoi giorni a terapia immunosoppressiva, con alcuni rischi».
A Milano, per esempio, sono ben dodici i soggetti sottoposti a trapianto di cellule pancreatiche, il cui pericolo maggiore è quello di sviluppare nel tempo dei tumori: «è un rischio relativo - precisa Secchi - i dati disponibili dicono che in dieci anni questi pazienti hanno un 6 per cento in più di probabilità di sviluppare la malattia rispetto alla popolazione generale.

Un rischio che non dovrebbe più correre la donna operata da Ricordi se le cellule staminali trapiantate faranno il loro dovere, cioè aumenteranno il grado di accettazione dell'organo trapianto, in questo caso le isole pancreatiche, fino al punto di poter eliminare la terapia antirigetto».

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