Arte

Diaboliche o sublimi, le "Righe" disegnano la storia della società

Maledette nel Medioevo, segno distintivo nel '700, trasgressive poi e oggi di moda

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Troppe righe fanno impazzire. Vedremo come. Eppure, abbigliamento, arredamento, suppellettili, insegne, marchi, design: le colorazioni a strisce sono per noi la quotidianità, soprattutto in certi contesti (si pensi alle vacanze al mare, con le sfilate di cabine sulla spiaggia, gli ombrelloni, i costumi, le tende). Ma non è stato sempre così. Un tempo era la tinta unita a farla da padrona, e siccome la storia culturale dell'umanità può esser tracciata anche intorno a questi aspetti, tutt'altro che secondari, non ci stupisce che lo storico francese Michel Pastoureau, massimo esperto mondiale di storia dei colori, dedichi un suo delizioso saggio proprio alle Righe (Ponte alle Grazie, pagg. 128, euro 14, traduzione di Claudine Turla).

Quelle righe che nel Medioevo erano equiparate a uno strumento del Diavolo. Quando nel 1254 l'ordine dei monaci Carmelitani si insedia a Parigi, seguendo San Luigi di ritorno dalla Terrasanta, scoppia una polemica sartoriale che durerà decenni, proprio sulla colorazione del loro mantello, a righe bianche e marroni, o bianche e nere. Detta colorazione ha una forte valenza simbolica, sulla quale gli storici non concordano, ma è di fatto trasgressiva. È una sfida all'ordine costituito. E non dev'essere considerata innocua, se papa Alessandro IV nel 1260 fa esplicita richiesta che quel mantello venga sostituito con uno a tinta unita. Accadrà solo all'inizio del XIV secolo, quando i domenicani passeranno alla ben nota cappa bianca. Qualcosa, nelle righe, le rendeva applicabili solo alle vesti dei reietti: lebbrosi, condannati, prostitute, giullari, boia. Categorie bollate con un marchio d'infamia o di disprezzo. Il carattere umiliante dei vestiti a strisce è stato ripreso, come tutti sappiamo, nella divisa degli internati nei campi di concentramento nazisti e in quelle dei carcerati di molti Paesi. Nell'ultimo caso, sono passate nell'iconografia tradizionale dei film, dei fumetti, delle caricature.

La spiegazione che fornisce Pastoureau, sia pure in via ipotetica, riguarda la concezione dello spazio nella raffigurazione medievale. La pittura, per esempio, si esprime su diversi piani monocromatici. L'introduzione delle strisce crea un disordine percettivo. Dopotutto, è anche una questione ottica. Persino San Giuseppe, minimizzato e sbeffeggiato, viene dipinto in pantaloni a righe, quasi per evidenziarne l'irrilevanza del ruolo.

Sarà soltanto qualche secolo dopo che le righe diventeranno un segno di distinzione, a cominciare dal loro uso negli stemmi delle famiglie o delle corporazioni, dunque nell'araldica, che conta migliaia di combinazioni cromatiche e di forma. La tinta unita cede il passo al maculato, al seminato e, appunto, al rigato. Non che le righe non siano associate ancora a sensazioni negative, o di paura, visto che le tigri sono striate e perfino le zebre sono considerate animali feroci e pericolosi. Così come rigati sono, nell'immaginario, i diavoli e i demoni dell'inferno.

Ma il tempo dei Lumi portano novità anche nel campo della moda. Le righe si diffondono fra gli aristocratici e i contadini. Non sono più espressione di divisione e di delimitazione sociale. Diventano, al massimo, segno di appartenenza a una categoria servile, e in questo senso si manterranno fino ai giorni nostri (ricordate il rigatino di Ugo Tognazzi nel film di Mario Monicelli Amici miei?).

La contemporaneità porta a una rivalutazione delle righe, che assumono via via valore di trasgressione romantica (nel senso di rottura dei codici tradizionali, scapigliatura, ribellione), e diventano portatrici di eleganza, fino a evolversi in una versione fortunatissima: le righe marinare. Orizzontali, nel caso degli equipaggi che le portano bianche e rosse o bianche e blu, e nei costumi da bagno della Belle Époque. Manifestazione di spensieratezza, vacanza, gioia. Le righe saranno poi frequentemente adottate nella produzione industriale dei tessuti, dal gessato dei delinquenti alla Al Capone, alla biancheria intima per uomo. Oggi sono ancora legate talvolta a un principio di esclusione; si pensi al caso delle sbarre della galera, tanto che finirci, in galera, viene definito vedere «il sole a strisce», per non parlare della segnaletica stradale, dove la semiotica le predispone a indicare pericoli, e dunque divieti.

Ma oggi la riga è segno di distinzione, come nelle maglie delle squadre di calcio, dove troviamo accostamenti audaci (il verde e rosso della Ternana) o impeccabili (il rosso e grigio della Cremonese), o iconici, come il bianconero, il rossonero, il nerazzurro. E la riga è anche segno di ritorno all'ordine. Per «mettere in riga» qualcosa, organizzarlo, razionalizzarlo, come si fa quando si usa il rastrello o un pettine. Lo stesso vale, sempre per Pastoureau, nel caso della pagina scritta.

Che può avere qualcosa di destabilizzante, fino a condurci, per l'appunto, alla follia.

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