Dialetto? Ma se i prof non sanno l’italiano...

Esame di dialetto agli insegnanti? La Lega smentisce: «Una bufala!» In realtà, dice, ci riferivamo al rapporto fra i docenti e il territorio. Comunque mai prendere troppo sul serio la politica d'estate. E poi si sa, dalle parti del Carroccio le sparano grosse sapendo di spararle grosse, salvo poi rettificare, precisare, distinguere: perché l'importante è farsi sentire, soprattutto da certi elettori di bocca buona. Ottenendo anche un effetto aggiuntivo: il fastidio provocato dal coro petulante di reazioni scandalizzate e indignate del perbenismo democratico finisce per procurare consensi alle «sparate» leghiste. Questo caso, tuttavia, a prescindere dalle intenzioni reali o simulate della Lega, induce a qualche riflessione. Molte delle anime belle che sono insorte contro la proposta farlocca di esame di dialetto locale per gli insegnanti, pochi giorni fa si sono scagliate contro il leghista Roberto Castelli quando ha giustamente denunciato l'eccesso di accento romanesco nelle fiction e nel cinema.
In quell'occasione tutti a difendere la legittimità, la ricchezza e la bellezza delle tendenze vernacorali. Dunque il romanesco a vanvera va bene e gli altri dialetti no? Ma c'è di più. È lodevole l'impegno di tanti «antirazzisti» in difesa di culture, tradizioni e lingue degli immigrati - più di 100 etnie a Milano secondo le ultime rilevazioni - anche a discapito dell'identità locale. Dunque l'arabo, l'ucraino o lo swahili e le relative culture sì e il lombardo no? Secondo un certo congenito automatismo reattivo della sinistra, la ragione sta sempre e comunque dalla parte del soggetto socialmente più debole (o presunto tale). Ma non è così, talvolta il più debole, ammesso che lo sia davvero, può avere torto. Perciò anche la comunità che accoglie - soggetto presunto più forte - immigrati o insegnanti trasferiti da altre regioni - soggetti presunti deboli - ha il diritto di salvaguardare la propria identità.

A questo, in realtà, si riduce la stucchevole diatriba su dialetti, culture locali ed etnie, «sparate» e indignazione a parte: al valore e al rispetto delle identità, di chi è accolto ma anche di chi accoglie. E comunque sarebbe già un bel successo se tutti gli insegnanti, a prescindere dalle provenienze, parlassero e scrivessero almeno in un decente italiano.

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