Dieci anni sotto esame

È il caso di dire: nessuna nuova, buona nuova. L’analisi dettagliata del governatore della Banca d’Italia Mario Draghi sulla nostra economia si è mossa, infatti, nell’ambito di un’antica ortodossia che ha fatto della nostra Banca centrale, nei decenni, un vero e proprio centro di eccellenza. Draghi ha fatto innanzitutto una scelta di equidistanza politica raffrontando ogni sua decisione all’arco degli ultimi dieci anni nei quali, come è noto, si sono alternati governi di segno diverso. Nella relazione del governatore i filoni comuni alle politiche economiche di vari governi sono risaltati in maniera impressionante. Per noi non è una novità avendoli più volte elencati da queste colonne, ma sentirli ripetere con chiarezza espositiva dalle considerazioni finali del governatore lascia oggettivamente il segno. Vediamo più da vicino quali sono questi filoni comuni.
Negli ultimi dieci anni la spesa primaria è aumentata del 2,5 per cento. Il calo della produttività, iniziato nel ’95, è proseguito in tutto il decennio con un punto in meno annuale rispetto alla media dei Paesi dell’Ocse. La conseguente bassa crescita della nostra economia ha segnato l’intero decennio così come il crollo delle esportazioni anche in presenza di una crescita maggiore dei Paesi della zona euro e di una ancora più forte dell’economia e del commercio mondiali. I bassi tassi di interesse sono stati anch’essi una costante dell’ultimo decennio, producendo effetti positivi sulla finanza pubblica nella seconda parte degli anni Novanta mentre nell’ultimo quinquennio hanno favorito le attività finanziarie e gli acquisti immobiliari delle famiglie il cui alto tasso di risparmio è stato anch’esso pressoché costante.
Altri elementi comuni nel decennio sono stati l’alto costo del lavoro e il modesto sviluppo della ricerca e dell’innovazione tecnologica, fattori entrambi alla base del calo della produttività del lavoro. Per brevità di spazio ci fermiamo qui, ma chi ha letto le considerazioni finali dei governatori della Banca d’Italia in tutti gli ultimi dieci anni sa che questa coraggiosa diagnosi è stata anch’essa una costante testimoniando così una continuità di analisi e di efficienza della nostra Banca centrale. E dobbiamo riconoscere che è stato lo stesso Draghi a ripeterlo più volte in particolare quando ha apprezzato la politica monetaria fin qui seguita ricordando che la differenza tra i nostri titoli di Stato decennali e quelli analoghi tedeschi si è ridotta vistosamente negli ultimi sei anni passando dai 340 punti base del periodo ’92-’98 a 25 punti base nel periodo ’99-2005.
Se antica è la diagnosi non potevano che essere ripetuti i tradizionali inviti a voltare pagina. Draghi lo ha fatto con chiarezza e convinzione con riferimento al rilancio della ricerca e dell’innovazione, al taglio del costo del lavoro, ad una più forte liberalizzazione dei mercati e della concorrenza, al rafforzamento del mercato dei capitali attraverso i fondi pensione e al taglio della spesa primaria che in larga parte è nelle mani degli enti locali al fine di un rapido riequilibrio dei conti pubblici. La novità, se così si può definire, è il forte e convinto accento sulla crescita economica ritenuta giustamente la priorità delle priorità e senza la quale non potrà esserci alcun risanamento della finanza pubblica. Musica per le nostre orecchie avendo denunciato per tempo e con insistenza il fatto che negli ultimi dieci anni l’attenzione dei governi e della politica intera era stata più interessata, nel rapporto deficit/Pil, a ridurre il primo piuttosto che alla crescita del secondo.
Detto questo, però, ci convince poco l’idea di Draghi di trasferire l’onere della riduzione del costo del lavoro sui consumi che penalizzerebbe in maniera significativa la domanda interna. Non ci consola, infine, il suo silenzio sul processo di colonizzazione che sta interessando il nostro Paese testimoniato dagli stessi dati forniti nella sua relazione sul tasso di presenza delle banche straniere nel nostro sistema creditizio (il 14 per cento a fronte del 10-11 per cento di Francia, Germania e Spagna). Una buona relazione, dunque, quella di Draghi che si è mossa nel solco della continuità con un piglio più giovanile e con alcune dichiarazioni coraggiose come quella dell’annuncio di una sua proposta al Comitato sul credito e sul risparmio in ordine ad una nuova disciplina sulle partecipazioni di banche nelle imprese non finanziarie.

Se il buon giorno si dovesse vedere dal mattino, dovremmo scorgere in questo annuncio, tra le altre cose, anche l’allontanamento delle banche dai giornali perché mai come nella stagione della globalizzazione e dell’integrazione dei mercati finanziari l’equilibrio tra economia e democrazia politica è da tutelare preservandolo in ogni momento da improprie egemonie.

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