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Dieci mesi all'Asinara, il Capodanno in cella dei cassintegrati sardi

Gli operai della Vinyls di Porto Torres sono nel ex supercarcere che ospitò Totò Riina dal 20 febbraio, ma ora il lieto fine sembra vicino: il fondo svizzero che ha comprato l'azienda ha promesso «continuità occupazionale»

Certo, l'Asinara è bella, è una delle perle del Mediterraneo, e il mare ha dei colori che vanno dal turchese allo smeraldo. Ma provateci voi a viverci in pieno inverno, con le mareggiate e il maestrale a 50 nodi. Erano in quindici all'inizio, il 24 febbraio. Ora, sistemati alla meglio nel carcere dismesso, sono rimasti in tre, più le moglie e le fidanzate, qualche volta i figli.
E anche adesso che dicono di «vedere la vittoria», i cassintegrati della Vinyls di Porto Torres hanno deciso di tenere duro: resteranno sull'isola fino a quando non saranno richiamati al lavoro. Sarà comunque un Capodanno meno amaro per questi operai che resistono all'Asinara da oltre dieci mesi, per difendere un impiego che sembrava destinato ad essere spazzato via da scelte industriali diverse. A raccontare lo stato d'animo degli ultimi rimasti è Pietro Marongiu, 56 anni, ormai vicino alla pensione, il leader di una resistenza che forse sta per essere premiata.
Lo stato della trattativa per la cessione dell'industria chimica al fondo svizzero Gita sembra infatti autorizzare all'ottimismo, vista l'assicurazione di garantire la continuità produttiva e occupazionale. «Siamo ancora all'Asinara - spiega Marongiu - , e ci resteremo finché non saremo reintegrati, anche se sembra che le cose si stiano mettendo abbastanza bene. Il ministro Paolo Romani, a Marghera, ha detto che su questa vicenda ci mette la faccia e sta seguendo bene le operazioni».
In ogni caso, insiste, «un grande risultato l'operazione Asinara l'ha già avuto: quello di far conoscere un metodo di lotta operaia che va preso ad esempio». Nessuno scontro, nessun colpo di testa. «Non c'è mai stata un'azione violenta, solo dialogo e un manipolo di persone che ha insegnato ad altre persone come comportarsi. A partire dagli industriali che vogliono fare i furbi. Spero che venga recepito il fatto che i metodi repressivi fanno passare automaticamente dalla parte del torto».
Nelle parole del leader degli operai di Porto Torres ci sono, insieme, soddisfazione, speranza e ancora cautela. «Siamo orgogliosi di quanto abbiamo fatto, abbiamo sensibilizzato l'opinione pubblica come non è riuscito a nessun altro. Forse raggiungeremo il risultato, ma siamo ancora con i piedi per terra. Manterremo la nostra presenza qui fino al giorno in cui saremo richiamati al lavoro». Certo, è stato dura. «Siamo sull'isola da oltre 10 mesi. Siamo stati anche una quindicina, oggi, grazie alla buona volontà dimostrata, abbiamo deciso di mantenere le presenze al minimo. Al momento siamo in tre, con mogli, fidanzate e figli che difendono con i denti il posto di lavoro che sostiene la famiglia».
Non è stata una vacanza. «La sistemazione - dice ancora Marongiu - è tutt'altro che comoda. Si dorme in una prigione, in celle che abbiamo deciso di rendere più confortevoli possibile ma che restano celle. A volte sono mancate luce e acqua». La galera è quella di Cala d'Oliva, la diramazione centrale del supercarcere chiuso dal 1999, proprio davanti al bunker dove ha scontato la pena, solitario, il più celebre dei boss mafiosi, Totò Riina. Il Natale, racconta ancora Marongiu, «è trascorso sereno, con una bambina tra noi, con tanto di Babbo Natale e di albero. Ora, aspettiamo visite per capodanno. Ci raggiungono persone che hanno visto le nostre condizioni e hanno scelto di stare con noi. Ci scalderemo, e faremo festa insieme».

Negli stessi 900 metri quadrati di cortile, una volta destinato all'ora d'aria dei detenuti del carcere.

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