La difesa «Mai consegnato alcun nastro»

Sarebbe stato l’allora amministratore della Rcs Roberto Raffaelli a portare ad Arcore il file dell’intercettazione fra Piero Fassino e Giovanni Consorte. Raffaelli avrebbe copiato su una pen drive la conversazione telefonica e per questo la procura di Milano gli contesta una sfilza di reati: accesso abusivo a sistema informatico, rivelazione di atti coperti da segreto, e per un altro capitolo, false fatture. Ma l’avvocato Luigi Liguori, difensore del manager, smentisce su tutta la linea. «Non è mai stato consegnato né fatto ascoltare alcun file dell’intercettazione fra Piero Fassino e Giovanni Consorte al presidente del Consiglio, perché il mio cliente non l’ha mai estrapolata dal sistema informatico e, quindi, mai posseduta». Di vero, in questa storia, c’è, secondo Liguori, solo l’incontro a Villa San Martino fra Raffaelli e il premier. «L’incontro natalizio - prosegue Liguori - era stato organizzato per chiedere un aiuto per l’espansione all’estero di Rcs così come il governo italiano aveva fatto altre volte per aziende italiane».
L’indagine va avanti e coinvolge anche altre persone, Fabrizio Favata ed Eugenio Petessi, che hanno fornito versioni contrastanti.

Secondo la ricostruzione di «Repubblica», quel giorno il file non fu materialmente consegnato al premier; no, sarebbe stato impacchettato e spedito in forma anonima al «Giornale». Lo scoop, datato 31 dicembre, terremotò il modo politico. Ma l’indagine sui Ds si fermò al punto di partenza e non andò da nessuna parte. Quella sulla talpa, invece, ha fatto progressi. A Milano non era mai accaduto.

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