La difesa sorridente del caterpillar in toga

Il legale: «Anche qui tante inimicizie come nel paese lombardo. E là i killer erano i vicini di casa»

nostro inviato a Torino

Il complimento più bello gliel’ha fatto a suo tempo il Procuratore generale Vittorio Corsi. Paola Savio era appena precipitata dentro il processo più rumoroso d’Italia. Corsi, senza sapere che il microfono era ancora acceso, spiegò ad un collaboratore: «Ora la Franzoni è in buone mani». Previsione azzeccata: entrata dalla porta di servizio della difesa d’ufficio, il 24 febbraio si è guadagnata sul campo i galloni dell’avvocato di fiducia. Con Annamaria Franzoni ha stabilito quasi subito un ottimo feeling e in breve è riuscita a farle dimenticare quel Taormina che ora Corsi chiama, con tagliente ironia, «il grande assente».
La Savio ha 38 anni, un marito, Maurizio, ottico con negozio di occhiali, catapultato in aula ad ascoltarla e a darle coraggio, due figli. Un curriculum striminzito, eppure è lei la grande sorpresa di quest’ultima fase processuale: un po’ come la giovane e allora sconosciuta Giulia Bongiorno a Palermo nell’arena del processo Andreotti. Come la Buongiorno, la Savio è un caterpillar: ha ingoiato in un mese di notti insonni perizie, controperizie, numeri e cifre. La Bongiorno studiava anche le virgole di migliaia e migliaia di pagine, per trovare la contraddizione, il punto debole, il tallone d’Achille nei labirintici ragionamenti dei Pm di Palermo. E lei non è da meno sul set di Cogne. Ma rispetto alla collega esibisce tutta la sua apparente fragilità, ripete fino alla noia: «Sono stanca, come sono stanca», mette in mostra la sua vita privata: «Io chiamo i miei figli nanetti, ma non penso che siano dei nani, così Annamaria parlava di Samuele come di un testone». E usa l’esempio per vibrare la stoccata, trasformando la debolezza in forza: «Signor procuratore, la storia di Samuele testone, testardo, cocciuto, fino a far perdere il senno alla madre è come la leggenda della mamma di Annamaria parente della moglie di Prodi». Una bufala.
Così, coniugando la tecnica con un pizzico di civetteria, ha portato a spasso i sei giudici popolari, ha cercato di mettere in evidenza i limiti della costruzione accusatoria, ha offerto una pista alternativa. E ha distribuito, dopo le occhiatacce accigliate del suo predecessore, sorrisi e cortesia. Ricambiata, dopo mesi di mischia rugbistica, dalla simpatia di almeno due giudici popolari donne. Paola Savio, insomma, è l’antiTaormina per eccellenza e il Tao l’ha subito attaccata, come fosse un Pm: «Io non avrei mai parlato di un sabot o di uno scarpone. L’assassino deve slacciarlo e toglierlo dal piede e questo mal si concilia con un omicidio d’impeto come quello di Samuele.

Io credo che i giudici non ascolteranno né lei né Corsi, concederanno alla donna la seminfermità di mente e la condanneranno a 8-9 anni».
Comunque vada a finire, ha imposto senza complessi la sua linea. E difficilmente scivolerà di nuovo nell’anonimato.

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