La difesa di Stasi: «Paura di questi giudici»

PENA L’accusa ha chiesto 30 anni di carcere per il ragazzo E non ci sono prove

Milano Tocca alla difesa smontare i teoremi di un’accusa che pur di incastrare Alberto Stasi riesce a dilatare come un chewing-gum gli orari di un omicidio. «Chiara Poggi era viva fino alle 9.10 del 13 agosto 2007, perché a quell’ora disinstallò l’allarme di casa sua; e Alberto Stasi era davanti al computer, nella sua abitazione di via Carducci, mentre la fidanzata veniva uccisa. Non è lui il colpevole e contro di lui non ci sono prove».
Lo ha ribadito nella sua arringa difensiva davanti al gup di Vigevano Stefano Vitelli, il professor Angelo Giarda che con Giuseppe Colli guida la difesa dell’ex studente bocconiano ora dottore, a processo con rito abbreviato.
Secondo Giarda, Chiara sarebbe stata uccisa nella prima parte della mattinata, con una centratura dell’orario più probabile tra le 9.30 e le 10. Dunque, mentre Alberto stava lavorando alla tesi di laurea, come ha dimostrato la perizia informatica sul suo computer.
«L’imputato è rimasto in casa - l’argomentazione di Giarda - almeno fino alle 13.30, quando da casa Stasi parte una telefonata del ragazzo per Chiara, alla quale quest’ultima non risponde».
Nella sua requisitoria, il pm Rosa Muscio, nel chiedere 30 anni di carcere per Stasi, aveva posticipato l’orario del delitto, sostenendo che la vittima fosse stata assassinata tra le 12.46 e le 13.36. Ipotesi peraltro in contrasto anche con quella sostenuta dalla parte civile: per il legale della famiglia Poggi l’omicida avrebbe colpito tra le 9.12 e le 9.36 di quel 13 agosto di due anni fa. Secondo la nuova «teoria» della Procura, Alberto sarebbe uscito in bicicletta per andare ad uccidere la ragazza, poi si sarebbe lavato e cambiato attraversando il paese non facendosi vedere da nessuno nel tempo record di 22 minuti.
Questione di orari. Chiara aveva detto (sia alla madre che al fidanzato) che quel giorno sarebbe andata a trovare la nonna alla casa di riposo a Gropello Cairoli. L’ultima cosa certa è che staccò l’allarme di casa alle 9.10. E che probabilmente aprì la porta di casa al suo carnefice.
Nel cercare di smontare punto per punto la tesi della Procura, Giarda ha non ha usato mezzi termini. Attaccando: «Ho paura di questa accusa perché prima ha costruito il colpevole e poi ha cercato gli indizi, cambiando più volte ricostruzione. Il processo ha dimostrato invece l’innocenza di Alberto». «Bisogna aver paura di questa giustizia penale», tuona il difensore. Con toni duri si scaglia contro quelli che sono indizi «pochi e contrastanti». Un sistema per il quale «prima si individua il colpevole, poi si cercano le prove» messo in campo da un’accusa pronta a cambiare versione.
«Come nel caso della perizia medico legale della Procura capace di ampliare il possibile orario della morte in seguito alla perizia informatica che garantisce un alibi ad Alberto. Se prima la morte di Chiara non poteva andare oltre le 12, lo stesso consulente scrive che il decesso può “estendersi fino alle 14.30”. Un paradosso se si considera che il ritrovamento della vittima è avvenuto alle 13.49».
Contro la tesi dei pm, inoltre, gli avvocati sciorinano una serie di quesiti: perché Chiara non ha aperto le persiane dalle 9.10, quando si è svegliata, fino all’ora presunta dell’omicidio?. Perché non ha risposto alle numerose telefonate ricevute? E di chi era la bicicletta nera vista da più di un testimone, intorno alle 9, davanti a casa Poggi?. E, a proposito di bicicletta, ribadiscono che non è Dna di Chiara quello trovato sui pedali della bicicletta in sella a cui, per la Procura, Stasi sarebbe fuggito.

Lo spostamento di orario, è il ragionamento dei legali di Stasi, può essere addirittura considerato un boomerang per l’accusa che non avrebbe analizzato a dovere gli alibi di altre persone potenzialmente rimesse in gioco dallo spostamento in avanti delle lancette.
Martedì Procura e parte civile avranno la possibilità di replicare alle arringhe della difesa, poi giovedì il gup Stefano Vitelli dovrebbe ritirarsi in camera di consiglio per decidere la sentenza.

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