"Pronti a combattere contro la Cina". Portaerei nel Pacifico e segnali su Taiwan: cosa succede

Dal ponte della portaerei Prince of Wales in Australia, il ministro britannico della Difesa annuncia: “Pronti a combattere con l’Australia”. Londra avverte Pechino e si allinea agli Usa su Taiwan

"Pronti a combattere contro la Cina". Portaerei nel Pacifico e segnali su Taiwan: cosa succede

In una mossa non inaspettata ma certamente diplomaticamente rilevante, il segretario alla Difesa del Regno Unito, John Healey, ha pubblicamente riferito che Londra è pronta a combattere nell'Indo-Pacifico se si rendesse necessario.

La dichiarazione è stata resa il 27 luglio da bordo della portaerei Hms “Prince of Wales”, che aveva appena attraccato al porto australiano di Darwin. Il ministro Healey, insieme a Richard Marles, vice primo ministro australiano, interpellato dal quotidiano britannico Telegraph su cosa stia facendo il Regno Unito per aiutare Paesi come Taiwan a prepararsi a una potenziale escalation da parte della Repubblica Popolare Cinese (Rpc), ha dichiarato: “Se dobbiamo combattere, come abbiamo fatto in passato, Australia e Regno Unito sono nazioni che combatteranno insieme. Ci addestriamo insieme, ed esercitandoci insieme ed essendo più pronti a combattere, mettiamo in atto una migliore capacità di dissuasione”.

Le parole del segretario alla Difesa di Londra sono tra le più esplicite da parte di un rappresentante del governo britannico in merito a un possibile coinvolgimento in una futura guerra nella regione. Healey, tuttavia, ha affermato di stare parlando in “termini generali” e che il Regno Unito preferirebbe che qualsiasi controversia nell'Indo-Pacifico fosse risolta “pacificamente” e “diplomaticamente”. Ha infatti aggiunto che il Regno Unito garantisce “la pace attraverso la forza”, e che “la nostra forza deriva dai nostri alleati”.

Come sappiamo, la Rpc di Xi Jinping, da tempo, continua a ricordare al mondo intero di non escludere il ricorso alla forza per conquistare il controllo di Taiwan, considerata da Pechino una provincia ribelle sin dalla fondazione della Repubblica Popolare Cinese. Il governo britannico si è sempre astenuto dal dichiarare un possibile intervento diretto in caso di conflitto, nonostante l'aumentare della tensione in tutta l'aerea che comprende anche il Mar Cinese Meridionale, dove da almeno 3 lustri la Rpc sta occupando isole contese con altri Paesi rivieraschi, e ne sta costruendo di artificiali, con una lenta ma costante militarizzazione delle stesse. Queste azioni hanno provocato un inasprimento delle tensioni regionali, che recentemente stanno coinvolgendo maggiormente le Filippine, per questioni legate alla sovranità sulla Zona Economica Esclusiva di Manila. Tensioni che spesso degenerano in azioni aggressive come speronamenti, utilizzo di cannoni ad acqua e di armi laser da parte delle unità navali di Pechino ai danni di quelle filippine.

Londra, con le parole di Healey, ha dato un chiaro segnale di allineamento alla politica statunitense nell'Indo-Pacifico e un messaggio inequivocabile ai suoi alleati del Commonwealth presenti in quell'area. La maggior parte dei Paesi segue infatti gli Stati Uniti nella loro posizione di “ambiguità strategica”, astenendosi generalmente dal commentare se interverranno o meno in difesa di Taiwan in caso di guerra. L'ex presidente Usa Joe Biden, però, ha infranto questa regola in diverse occasioni affermando che Washington avrebbero sostenuto l'isola nella lotta contro la Rpc. Donald Trump per il momento si è astenuto dall'adottare lo stesso approccio esplicito, ma il Dipartimento di Stato statunitense ha modificato il suo approccio verso Taipei, cambiando una parte fondamentale della sua “ambiguità strategica” togliendo dal suo sito la frase “non sosteniamo l'indipendenza di Taiwan”, mentre il Pentagono, da anni, si prepara a un conflitto diretto con Pechino per l'isola – e/o per il Mar Cinese Meridionale.

Per quanto riguarda Taiwan, anche l'Australia ha adottato un approccio più cauto. Anthony Albanese, il primo ministro del Paese, la scorsa settimana si è rifiutato di commentare se l'Australia si unirà agli Stati Uniti e ad altri alleati nella lotta contro la Rpc in caso di scoppio di un conflitto. La motivazione dietro questo silenzio è data dal recente comportamento degli Stati Uniti, che stanno rivedendo uno dei pilastri del trattato Aukus che li lega ad Australia e Regno Unito – quello sulla cessione di sottomarini nucleari da attacco Usa alla Royal Australian Navy – nel timore che la U.S. Navy possa trovarsi irrimediabilmente impreparata nel caso di una guerra contro la Repubblica Popolare. I timori dell'esecutivo statunitense, e del Pentagono, riguardano la difficoltà – se non impossibilità – di sostituire i battelli ceduti all'Australia con altri nuovi, lasciando la marina Usa in inferiorità numerica.

Il Regno Unito da tempo ha intrapreso una campagna di proiezione in Indo-Pacifico, come deterrente per l'espansionismo cinese, e si sta coordinando con Francia e Italia in modo che l'Europa possa avere un gruppo d'attacco di portaerei nella regione ogni anno,

ma sino a oggi i toni diplomatici ufficiali erano rimasti piuttosto neutrali. Questo cambio di passo potrebbe spiegarsi con la necessità di Londra di adeguarsi alle minacce sempre più crescenti in quella parte del globo.

Commenti
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica