«La religione? Il paradosso è che assistiamo non a una sua crisi ma a un suo boom». Luca Diotallevi è ordinario di Sociologia all'Università di Roma Tre, il suo ultimo libro (pubblicato nel 2017 da EDB) si intitola Fine Corsa. La fine del Cristianesimo come religione confessionale . «Voglio dire che in tempi di secolarizzazione il consumo di beni religiosi è molto cresciuto rispetto per esempio agli anni Settanta. Ma la religione di oggi ha assunto forme più personali, individualizzate, a bassa intensità». A tramontare è stata, appunto, la forma «confessionale», basata su organizzazioni specificamente incaricate di «gestire» il problema della salvezza personale, contribuendo a fondare l'identità pubblica e legittimare le strutture politiche.
«Adesso però siamo di fronte a un'altra possibile svolta», aggiunge Diotallevi. «Quella testimoniata dall'uso del pensiero confuciano da parte del leader cinese Xi Jin Ping, dal rapporto con la Chiesa Ortodossa di Vladimir Putin o dalla riscoperta della religione tradizionale di molti leader sovranisti dell'Europa Occidentale. Torna ad affermarsi il ruolo dello Stato e con esso anche una Chiesa che riprende il passato pur essendo molto diversa da una volta». Dove finirà per approdare questa fase di passaggio? «Allo stato impossibile dirlo. Dove finirà lo statalismo che si sta riscoprendo? Stiamo assistendo a un suo ritorno o a un suo colpo di coda? Fare un parallelo è legittimo».
Una cosa è sicura, secondo Diotallevi: «Bisogna abituarsi a distinguere tra cristiani e cristianisti, un termine sempre più usato all'estero». Dov'è la differenza? I cristiani sono coloro che si occupano di Cristo, i «cristianisti», quelli che sono più interessati alla difesa e all'esaltazione della civiltà cristiana.
«I due concetti non sempre coincidono. E non è detto che il successo dei cristianisti si trasformi anche nel successo degli altri. L'impasse della religione tradizionale,per esempio, continua e nessuno degli ultimi Papi è riuscito a contrastarla».AA
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