Direttore recidivo

Non è vero che al Corriere della Sera è iniziata la campagna elettorale: in via Solferino sta semplicemente proseguendo il tentativo di dettare l’agenda politica di questo Paese. E piacerebbe non dover personalizzare la questione ancora una volta, ma l’interprete di questo malcelato tentativo resta infine sempre il medesimo: Paolo Mieli, il bi-direttore che dal 1994 a oggi ha sempre contraddetto nei fatti ogni precedente sua ammissione di colpevolezza, ogni autocritica circa periodi che già lo videro ricettore ultrasensibile dell’uso politico della giustizia. Ieri la puntata numero tremila. In una giornata in cui certo non mancava altra carne umana da mettere al fuoco (nuovo governatore di Bankitalia, dimissioni dei vertici di Unipol, intercettazioni) la notiziona al centro della prima pagina del Corriere era la seguente: «“Ha corrotto un teste”, indagato Berlusconi».
E una notizia è una notizia, senz’altro, ma lo spazio e il risalto che vi dedichi tradiscono la differenza tra una notizia e un desiderio. La notizia in sé, nuda e cruda, nelle more delle decine di procedimenti subiti da Silvio Berlusconi in tutti questi anni, non è davvero granché: il presidente del Consiglio nel 1997 avrebbe ordinato a un suo collaboratore di versare 600mila dollari a un notissimo avvocato già consulente della Fininvest affinché dicesse il falso in due processi. Ora: 1) il collaboratore in questione non può smentire né confermare perché intanto è morto; 2) l’avvocato presunto beneficiario invece è vivo, ma è David Mills, notissimo legale inglese sposato con l’ex ministro Tessa Jovell, soprattutto consulente Fininvest che è solito emettere parcelle che oggettivamente fanno impallidire il presunto versamento del caso; 3) Berlusconi intanto è già risultato non colpevole nei due processi in questione, e questo del tutto indipendentemente da qualsivoglia testimonianza dell’avvocato Mills; 4) i pm dell’accusa, che verosimilmente chiederanno il rinvio a giudizio tra gennaio e febbraio, ossia in piena campagna elettorale, si chiamano Fabio De Pasquale e Alfredo Robledo: i quali godono, in Procura come altrove, semplicemente della fama che godono. Ma non abbiamo elencato i suddetti come elementi a discarico di Berlusconi: li abbiamo indicati come elementi che un direttore di giornale, del primo giornale italiano, ieri l'altro avrà soppesato prima di decidere lo spazio da dedicarvi: ebbene, nel caso è stata l’intera pagina 2 del Corriere, con ciò sposando la sola linea dell’accusa (i legali non sono stati contattati, da noi si usa così) e rispolverando di passaggio tutte le inchieste aperte contro la galassia Mediaset: diritti tv, presunto riciclaggio per Marina e Piersilvio Berlusconi e via così. E non si dica che trattasi di ordinario giornalismo all’italiana: a meno di volerlo confondere con l’ordinario giornalismo di Paolo Mieli dal 1994 a oggi, il giornalismo che l’altro giorno, unico tra i grandi quotidiani, sparava in apertura di prima pagina anche l’indagine dell’Antitrust su Berlusconi, il giornalismo che per tutta l’estate ha sparato a palle incatenate contro il salotto cattivo servendo in maniera talora imbarazzante quello buono (azionisti compresi: indimenticabile la pagina culturale del Corriere occupata da «Abramo e il castigo di Sodoma» di Giovanni Bazoli) giacché «Certi favori - scrisse Mieli - a me non li chiedono neanche». Perché non ce n’era bisogno.
Era il periodo in cui Piero Fassino diceva che Paolo Mieli faceva politica, in cui si doleva che anziché dirigere un giornale non dirigesse un partito. Fassino non l’aveva chiaro: è un partito, quello che è tornato a tuonare da via Solferino. Un partito che fa semplicemente tutto quello che può. Intanto lo «storico» Paolo Mieli non si negava qualche atto di contrizione circa gli anni che furono: negli anni passati ebbe a dire che i giornali di Mani pulite distolsero la realtà, e per esempio che forse fu chiuso un occhio sulle indagini ai danni del Pds.

Parole, considerazioni che viaggiavano come parallele e inincrociabili alla biografia del Mieli che dal 1992 al 1997 fu appunto direttore del Corriere, quotidiano sovente spacciato per imparziale (questa l’aggravante, allora come oggi) e tuttavia che più di altri era infarcito della stessa retorica manipulitista poi autocriticata, il quotidiano ossia esclusivista degli editti di Francesco Saverio Borrelli, della notizia dell’avviso di garanzia a Berlusconi, del sostegno pacchiano a ogni dipietrismo dello stivale, quello che il 15 ottobre 1995 chiedeva che Silvio Berlusconi (editoriale di Paolo Mieli) facesse «un passo indietro» per via di un rinvio a giudizio che pure l’avrebbe visto assolto. Ora, meramente, si ricomincia. Si prosegue. Per lo storico le parole sono tutto, per il politico non hanno alcuna importanza.

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