Distruggono le musicassette ma erano i canti del Corano

La donna alla fine è stata assolta ma nel frattempo, le musicassette sono state distrutte o incenerite: ed è stato un gesto che un musulmano avrebbe buon diritto di considerare blasfemo, perché a finire in discari a sono state centinaia e centinaia di preghiere e di prediche religiose. E non, come sosteneva il decreto, opere contraffatte di cantanti italiani e stranieri.
Come sia stato possibile l’equivoco, bisognerebbe andarlo a chiedere alla polizia locale di San Donato Milanese, che il 31 agosto del 2008, durante un controllo in un mercato rionale contro gli ambulanti abusivi, fermarono una cittadina dell’Ecuador che vendeva sul suo banchetto cassette musicali: genere merceologico ormai desueto, ma che evidentemente ha ancora un suo pubblico. Per l’esattezza, vengono sequestrate 1.959 cassette. Di queste, senza perdere tanto tempo, la stragrande maggioranza viene distrutto. La polizia locale si limita a catalogare e conservare quindici cassette, ma senza ascoltarle. Sul pacchetto contenente il corpo del reato gli investigatori si limitano a segnalare che le cassette sono prive del bollino Siae, che deve contraddistinguere ogni opera di ingegno in modo tale da poter corrispondere il diritto d’autore a chi ne ha diritto.
È l’unico atto di indagine che viene compiuto. Sulla base di esso, la donna viene inquisita per vendita di prodotti contraffatti. Inutilmente cerca di spiegare che lei, pur essendo latinoamericana, si è convertita all’Islam e che le cassette altro non contenevano che sure del Corano, prediche di imam e altro materiale religioso. La Procura a dispone il suo rinvio a giudizio con citazione diretta. E la donna si trova così sotto processo.
All’ultima udienza, i suoi avvocati Eugenio Losco e Mauro Straini insistono sulla tesi difensiva: nelle cassette non c’erano nè Boy George nè Gigi D’Alessio, ma solo prediche e preghiere. Il giudice a quel punto ordina che si apra il pacchetto, saltano fuori cassette con scritte in arabo. Viene nominato un interprete che ascolta e conferma: è tutto materiale religioso, per sua stessa natura esente dal copyright.

La Siae, che si era costituita parte civile, si ritira in buon ordine. La Procura chiede l’assoluzione, le difese si associano, la donna esce a testa alta dal processo. Già: ma le 1.945 cassette distrutte, chi gliele ridà?

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