«Domande sinistrorse». E Naipaul se ne va

Frederick Forsyth fisicamente ricorda molto Michael Caine, ma forse è solo una suggestione data dal fatto che l’attore recita nel film Il Quarto Protocollo (1987), tratto dall’omonimo romanzo dello scrittore. Comunque sono entrambi inglesi ed entrambi molto eleganti. E con eleganza inglese ieri a Mantova Frederick Forsyth ha presentato il suo nuovo romanzo, Il cobra (Mondadori): una classicissima spy story nella quale l’autore di libri culto come Il giorno dello sciacallo o Dossier Odessa porta il lettore lungo le rotte del traffico internazionale della droga. E per farlo si serve di un suo vecchio personaggio, Paul Deveraux, alias il Cobra, ex agente della Cia che i fan conobbero la prima volta nel romanzo Il vendicatore.
Forsyth, lei è noto per l’attenzione che dedica alle ricerche sul campo prima di scrivere un romanzo. Come si è preparato ad affrontare il mondo della droga?
«Esistevano solo due possibilità: frequentare la malavita stessa, che vive su questo business, o le forze dell’ordine, che lo combattono. Io ho chiesto aiuto all’Fbi, ad esempio. E per capire come funzionano le organizzazioni criminali italiane ho preso contatti con l’antimafia. La mia fonte, che voglio rimanga coperta, mi ha spiegato che oggi la mafia più potente, più di Cosa Nostra, più della Camorra, è la ’ndrangheta calabrese».
Lei è venuto anche in Italia. Non in Calabria, stranamente. Ma a Milano: a Buccinasco.
«È il consiglio che mi ha dato chi conosce bene il mondo della droga. Lo scorso anno ho passato una settimana a Milano, nota come la capitale della cocaina in Europa, e nell’hinterland, che è l’appendice settentrionale della malavita calabrese. Mi hanno portato con una macchina blindata sui luoghi simbolo della ’ndrangheta, ho visto le ville dei boss. Ho parlato con i carabinieri del Ros, con i poliziotti della narcotici, con i magistrati che mi hanno spiegato la struttura delle cosche, il loro riuscire a essere invisibili. Ho visto gli uomini con le camicie rigorosamente bianche e aperte sino al terzo bottone. E ho capito molte cose».
Cosa ha capito?
«Che ha ragione chi dice che la ’ndrangheta è la più potente mafia del mondo. La più ricca, quella dotata di maggiore liquidità, una holding con filiali persino in Australia. E per di più “silenziosa”. Tutti nel mondo conoscono la mafia siciliana e oggi grazie a Roberto Saviano anche la camorra napoletana. Ma ancora pochi, fuori dall’Italia, sanno cos’è la ’ndrangheta».
Ecco Saviano. Si è appena saputo che il suo prossimo libro avrà come argomento la ’ndrangheta...
«Non conosco Saviano di persona, ma ho letto Gomorra, e ho visto il film. Però lui è più giornalista, e infatti le sue sono delle inchieste. Io invece sono uno scrittore, e i miei libri sono romanzi».
L’immagine dell’Italia soffre per l’accostamento continuo al crimine?
«Non dovreste preoccuparvi di questo. È più grave quando un Paese viene devastato da uno come Tony Blair. I boss non sono eletti, i politici sì. E Blair ha condotto il Paese in guerra sulla base di una montagna di menzogne».
Lei ha sempre messo al centro dei suoi libri il problema internazionale più «caldo» del momento. Una volta la Guerra Fredda, poi l’Afghanistan, ora il traffico di droga...
«È questa la vera emergenza internazionale. È vero: da anni l’Occidente lotta contro i cartelli della droga, ma finora si è concluso pochissimo, nonostante gli Stati Uniti, a esempio, spendano 13 miliardi di dollari l’anno per combattere le organizzazioni criminali».
Si dice che le storie romanzesche possano causare effetti di emulazione.
«A volte sì, in negativo. Nell’ottobre del 1983 a Beirut un arabo con un camion pieno di tritolo forzò le barriere protettive di una caserma americana e si fece esplodere. Fu il primo vero caso di terrorista kamikaze.

Mi interessai molto alla cosa, soprattutto mi colpì la testimonianza di un marine di guardia, sopravvissuto: raccontò che vide il guidatore sorridere prima di farsi esplodere, cioè voleva davvero morire. Bene, io mi chiesi cosa sarebbe successo se invece di un camion si fosse trattato di un aereo di linea. Ma lasciai perdere, mi sembrava troppo incredibile e pericoloso. Poi, neanche vent’anni dopo...».
LMas

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