Don Pepè, condanna a 25 anni. Sgominato il clan

Per don Pepè Onorato e per i suoi capelli bianchi è una condanna che somiglia ad un ergastolo: alle 19 di ieri il tribunale lo condanna a venticinque anni di carcere per associazione a delinquere di stampo mafioso e per una lunga serie di altri reati. E insieme al vecchio boss calabrese vengono condannati comprimari e complici del clan criminale che aveva eletto come sua base il bar Ebony di via Porpora, dai cui tavolini venivano decisi affari e punizioni, traffici di droga e alleanze. L’accusa di associazione mafiosa, sostenuta dal pubblico ministero Celestina Gravina, ha retto al vaglio del processo, anche se durante le indagini della Dia non è stato trovato una sola arma: ma a dimostrare la violenza del clan di Onorato sono stati più che sufficienti gli incendi a ripetizione che puntualmente scoppiavano nei capannoni degli imprenditori che non si piegavano alle pretese.
Tra i condannati ci sono noi storici della malavita milanese come Jimmy Pangallo (17 anni) o Luigi Bonanno (8 anni e 8 mesi). Ma ci sono anche facce «pulite» come quella di Marco Semenzato, dell’omonima casa d’aste, che si vede infliggere tre anni per avere riciclato i soldi del clan.

Per Celestina Gravina, veterana delle inchieste antimafia, ma anche pm della strage di Linate, è l’ultimo processo milanese. Porterà i suoi capelli rossi e la sua anima indipendente alla Procura di Matera, la città dove è nata.

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