Donatori di sangue, è boom di stranieri: 30mila in Lombardia

Fratelli d’Italia lo sono già.Ma il passo successivo, quello più delicato, è diventare anche «fratelli di sangue». Aumentano in Lombardia gli immigrati che donano il proprio sangue, fenomeno che ormai non attrae più soltanto i sociologi. In regione, su 300mila donatori, una cifra che varia tra il 5 e il 10 per cento proviene dall’estero. E, considerata l’eterna emergenza italiana in ambito trasfusionale, il loro apporto è più che mai indispensabile. Se ne è discusso in questi giorni al convegno internazionale organizzato dalla Comitato provinciale della Croce Rossa, prima assemblea nazionale dei donatori di sangue.
La direzione generale della Sanità lombarda, del resto, s’è attrezzata da tempo per far sì che nemmeno una goccia vada dispersa. «Già dal ’92 abbiamo una circolare così da far fronte alle prime offerte - spiega Camilla Vezzoli -. Dal 2005, con il consolidamento della realtà migratoria sul nostro territorio, è in vigore una normativa ad hoc». Secondo l’ultimo rapporto Istat sull’immigrazione in Italia, sono poco meno di 875mila gli immigrati residenti in Lombardia. È evidente che per il cittadino straniero scegliere di donare il sangue è un punto di arrivo, mai di partenza, nel cammino dell’integrazione. «Proprio per questo - continua Vezzoli - l’accertamento dell’identità del candidato donatore avviene tramite un questionario preliminare che testi l’effettiva conoscenza della nostra lingua e, soprattutto, il valore del gesto che si intende compiere». Quindi entrano in gioco i criteri sanitari fondamentali per rilasciare l’idoneità alla donazione (che, come sempre, è «volontaria, periodica, responsabile, anonima e gratuita): condizioni generali di salute, stile di vita, abitudini sessuali, requisiti fisici (validi, senza distinzioni di etnia, pure per il donatore italiano). In ogni caso, vale la regola della reperibilità e della residenza da almeno 2 anni nel nostro paese. L’esclusione permanente o l’inibizione temporanea può scattare, ad esempio, nel caso in cui l’interessato abbia vissuto in una zona malarica nei primi 5 anni di vita o per 5 anni, oppure sia reduce da aree endemiche per malattie tropicali.
Ma c’è un altro motivo per cui le sacche di sangue straniero costituiscono un vero «tesoro». «Alcune delle popolazioni più presenti sono caratterizzate dall’assenza di antigeni (molecole, ndr) ad alta incidenza o di specifiche combinazioni di antigeni comuni, abbastanza diffuse invece nella popolazione caucasica», sottolinea una nota della Banca di emocomponenti della Regione Lombardia. In parole povere, si tratta di donatori con gruppi sanguigni rari tra noi italiani: da noi ne è portatore meno di un abitante su mille. Tra gli obiettivi del Policlinico di Milano e di Avis c’è quello di raccogliere come minimo 15mila nuove sacche, utili a curare pazienti con patologie ereditarie (anemia falciforme e talassemia), leucemie nonché donne in gravidanza. Oggi donano più di tutti romeni, marocchini e senegalesi. Campagne di sensibilizzazione sono state avviate tra le comunità più numerose: sudamericani, filippini, cingalesi e cinesi. Qualcuno propone banchetti della solidarietà davanti ai luoghi di culto islamici. «Non dobbiamo dimenticare che donare il sangue, da parte degli immigrati, resta un atto di riconoscenza e di rispetto verso la società che li ospita - testimonia Marco Lombardi, esperto di migrazioni dell’università Cattolica di Milano-.

Non va nemmeno trascurato quanto può essere difficile comunicare l’importanza del darsi agli altri a culture che, prima di giungere in Italia, erano abituate a identificare nel sangue e negli organi una merce da vendere, e non da regalare».

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