Doni inguaiato da Santoni e dalla telefonata a un dirigente

Le sue esigue speranze di riuscire a passare il Natale a casa, Cristiano Doni se le giocherà oggi pomeriggio, nel faccia a faccia con il giudice preliminare Guido Salvini. L’ex capitano dell’Atalanta, completamente ignorato ieri sera allo stadio dai suoi tifosi (nessuno striscione in sua difesa, solo un «Feriti ma uniti» rivolto alla società), arrestato lunedì mattina per avere cercato di inquinare le prove a suo carico nell’indagine sul calcioscommesse, è in una posizione non facile. Le intercettazioni compiute nei mesi scorsi raccontano come abbia cercato in ogni modo di indurre al silenzio («vado lì e lo prendo per il collo») il suo principale coimputato, il preparatore atletico del Ravenna Nicola Santoni, pagandogli l’avvocato e cercando di neutralizzare gli accertamenti sul suo smartphone. Santoni che ieri ha poi confessato davanti al gip Salvini di aver incontrato più volte Doni e di avere responsabilità nella corruzione legata a Atalanta-Piacenza. Ma le intercettazioni raccontano anche dell’altro.
La principale riguarda il ruolo che nella vicenda hanno avuto i vertici dell’Atalanta. Tra le chiamate intercettate ce ne sono alcune tra Doni e una utenza collegata a Isidoro Fratus, consigliere d’amministrazione della società orobica, e che gli inquirenti mettono in relazione al «biscotto» tra Atalanta e Padova: un accordo sottobanco che Doni è accusato di avere realizzato non solo nell'interesse del racket delle scommesse, ma anche della sua stessa società.


Non a casa il capo di imputazione a carico di Doni lo accusa di essersi dato da fare per realizzare un obiettivo - proprio in occasione del match col Padova - già deciso dal club nerazzurro: «Influiva con la sua prestazione sul risultato del pareggio, voluto dalla squadra, fino al punto di scommettere per interposta persona 10.000 euro sul risultato medesimo». Dalla società sembrano provenire peraltro i soldi utilizzati per pagare l’avvocato di Santoni.

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