"Dopo Dostoevskij voglio cantare a Sanremo"

L'attore Filippo Timi premiato con il Nastro d'Argento come protagonista della serie tv dei Fratelli D'Innocenzo

"Dopo Dostoevskij voglio cantare a Sanremo"
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da Napoli

«Bello questo premio, come una carezza. Ma adesso mi dedico alla musica, sto scrivendo alcune canzoni, magari ci vediamo l'anno prossimo a Sanremo...». Parlare con Filippo Timi sulla terrazza dell'hotel di fronte a Castel dell'Ovo, ti fa immaginare l'eruzione del Vesuvio che si vede alle sue spalle. Attore, regista, scrittore, musicista, insomma talento esplosivo, ha ricevuto sabato a Napoli il premio Nastro d'argento tv come miglior attore protagonista per la serie Dostoevskij di Sky partorita dalla mente diabolica dei fratelli Fabio e Damiano D'Innocenzo.

Timi, il Nastro è un riconoscimento a una fiction ostica per il grande pubblico, inquietante e anche respingente. Così la definisce il regista Damiano: «Nella serie ci sono le cose terrificanti della vita, i comportamenti tremendi che applichiamo di continuo per prevalere ed esorcizzare la paura».

«Assolutamente. Racconta quella deriva mentale che non è soltanto nei protagonisti, ma nel mondo. I registi mi dicevano di pensarmi non come un personaggio, ma come un paesaggio desolante. Il loro è un modo di raccontare primitivo, difficile, ma la profondità non è mai facile».

Anche Fabio e Damiano sono stati premiati.

«Sono contento perché i D'Innocenzo hanno portato una qualità cinematografica nel mondo televisivo che spesso non c'è. La loro scrittura è speciale, autentica, coraggiosa. Faccio un esempio. Sull'intestazione di una scena, avevano messo l'indicazione: In cielo un temporale feroce come un litigio tra fratelli, detta da due fratelli gemelli...».

Uno dei ruoli più difficili della sua carriera: il poliziotto disperato Enzo Vitello che dà la caccia a uno spietato serial killer in cui si rispecchia e che ha il vezzo di lasciare una lettera vicino alle sue vittime.

«È stata certamente la parte più complicata che mi sia capitata sia per intensità sia per mole di lavoro sia per quantità di tempo sul set: ho dovuto fare ben 298 scene, non ho vissuto per nove mesi».

Il suo personaggio ha dentro il male e si trasforma nel male assoluto. Per lei cos'è il male?

«Sarò superficiale ma credo che sia la superficialità. Non ho vissuto la guerra, la fame, l'abbandono. Certo ho vissuto dei pregiudizi per la mia balbuzie e per il mio essere omosessuale, e ora sono quasi cieco, ma sono cavolate rispetto ai grandi dolori. Per cui per me il male peggiore è essere superficiali, innanzitutto verso se stessi perché vuol dire che non ti ascolti e quindi sprechi il tempo: se non hai il coraggio di andare in profondità nel tuo dolore non riesci a cambiare fino in fondo».

Ha ricordato che per interpretare il ruolo pensava a suo padre come se fosse un deserto.

«Mio padre è uno che parla poco. Gli ho chiesto di raccontare la sua vita a mia madre, per farle un po' di compagnia di notte visto che non riesce a dormire e lui mi ha risposto: che le racconto? Che sono sempre stato considerato uno zero?».

La sua è una famiglia semplice, padre operaio, madre infermiera. Da dove nasce la sua tumultuosa forza creativa?

«È connaturata, è esuberanza, non è strategia. È tutto un magma: quando mi sono rotto le scatole di chiedermi se sarei stato un bravo attore, mi sono messo a raccontare storie. Forse tutte le parole che mio padre non ha detto le ho tirate fuori io, che sono pure balbuziente».

Alla fine suo padre ha accettato il suo orientamento sessuale?

«La sua era omofobia generazionale, in quegli anni per un genitore era una cosa forte. Non ne abbiamo mai parlato, una sera ho portato a casa il mio fidanzatino di allora, e i miei hanno fatto finta che fosse un amico. Per me da ragazzo non è stato facile. Da grande, poi, decidi se passare il tempo a vendicarti o goderti la vita».

E ora si gode il periodo musicale.

«Sì, con grande gioia. Ho scritto delle canzoni con Rodrigo D'Erasmo, il violinista degli Afterhours: le presentiamo a luglio (dal 20 al 29, ndr) al teatro Parenti di Milano con uno spettacolo-concerto dal titolo Non sarò mai Elvis Presley. Poi incideremo il disco a settembre. Che tipo di musica? Non so, è incatalogabile».

E potrebbe proporre uno dei brani per Sanremo?

«Se fra questi ce ne sarà uno che mi convince, spero assolutamente di andare al Festival. Cantare è sempre stato il mio sogno, magari lo vinco pure... scherzo eh!».

Oltre al disco, si sta dando

alla regia cinematografica e vuole pure aprire una bottega artigiana di abiti.

«Il primo lo sto scrivendo e si intitolerà La città dell'ambiguità, la bottega non l'ho ancora aperta, sono troppo preso dalla musica.

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