È un piacere ascoltare Mario Draghi. Il governatore della banca d’Italia ha un linguaggio insieme asciutto e preciso. Certo, come dice un suo vecchio compagno di scuola del «Massimo», sin da piccolo con la sua giacchetta blu e i capelli sempre in ordine, non ti stupiva certo con un colpo di scena. Ieri davanti alla folta platea dei banchieri italiani, riuniti per la loro cinquantesima assemblea, e al presidente della Repubblica ha letto una dozzina di paginette da mandare a memoria, direbbe il suo vecchio professore, padre Rozzi. Ci ha spiegato che la ripresa è tutta da costruire, che la nostra manovra economica è una via obbligata e che le banche non fanno sempre bene il loro mestiere, pur essendo, quelle italiane, tra le più solide del mondo.
Andiamo in ordine. Il governatore era lì per parlare ai suoi «clienti», le banche. In fondo il suo compito è proprio quello di vigilare gli istituti di credito e stare bene attento che non combinino troppi pasticci. Ma ha colto l’occasione per raccontarci brevemente come vanno le cose economiche. Ecco. In due, tre paragrafi ha spiegato con chiarezza cosa sta succedendo. Non siamo ancora fuori dalla crisi. Certo una parte del mondo cresce alla grandissima, in alcuni paesi emergenti all’8-10 per cento, ma nella vecchia Europa, se va bene si andrà a un ritmo dell’1 per cento. L’Italia vivacchia, merito soprattutto delle esportazioni. Il volume del nostro export crescerà del 9 per cento quest’anno e del cinque il prossimo. Continuiamo a consumare poco e a investire ancora meno. Insomma cresceremo grazie a paesi che hanno ripreso a correre e che danno un po’ di brio anche a noi.
Draghi sembra voler esplicitare la «pericolosità» delle iniziative non convenzionali messe in campo dalla Banca centrale per ammortizzare la crisi finanziaria (l’acquisto più o meno diretto dei titoli pubblici ad esempio) e dice che presto si dovrà rientrare nei ranghi dell’ortodossia monetaria. Cosa che peraltro sta già in parte avvenendo.
Ritornando all’Italia ha ricordato come crescita e conti pubblici in ordine vadano a braccetto. E qui Draghi ci racconta una cosa non del tutto scontata. In molti, infatti, sono preoccupati che la manovra di correzione dei conti pubblici possa soffocare la neonata ripresa in culla. Il professore Alesina in un bellissima ricerca ci ha spiegato recentemente che ciò non è vero: e che certi tagli di spesa corrente possano non essere negativi per il ciclo economico. Draghi, pur portando a conclusioni simili, non è dello stesso avviso. In effetti certifica che la manovra del governo avrà un costo in termini di rallentamento della crescita economica. Ma il nostro passato spendaccione, non ci permette di fare diversamente: non se ne poteva fare a meno. Draghi inoltre si sporca le mani e va a toccare gli attrezzi della manovra tremontiana. Bene gli interventi che portano all’innalzamento dell’età pensionabile come le riforme della pubblica amministrazione.
E sul lato delle entrate è giusto concentrarsi sulla lotta all’evasione: i cui effetti sono però tutti da verificare. Su questo punto il punto di vista del Governatore è miele per le nostre orecchie: «Il contenimento dell’evasione fiscale può essere importante leva di sviluppo se correlato alla riduzione delle aliquote gravanti sui contribuenti onesti». Chiaro. Chiarissimo. Nessuna tassa in più e ciò che si recupera si restituisca ai contribuenti. Per la verità, proprio davanti ai suoi banchieri, una tassa in più Draghi la chiede. Dice il governatore: si riducano le imposte distorsive sui crediti in perdita delle banche. E si sostituiscano con un’imposta di pari gettito su diverso imponibile. Una posizione piuttosto responsabile, di questi tempi. Che però non è detto che abbia scaldato la platea di ieri.
Sul fronte della propria «clientela», Draghi ha dato l’impressione non solo di avere le idee molto chiare (cosa piuttosto scontata) ma soprattutto di non avere alcuna prudenza. Lo stile del governatore non solo rifugge da qualsiasi paternalismo, ma è lontano anni luce dall’accondiscendenza tipica dei controllori catturati dai controllati. Draghi nel giorno della festa dei banchieri non ha perso l’occasione per un felpato rimbrotto. Su tre temi.
Si parte con la tutela dei correntisti: molto lavoro c’è ancora da fare. Dice affilatissimo. Secondo sulle infiltrazioni criminali. Nessuna scusa dice Draghi: il fatto che non ci sia una deliberata complicità, ma difetti di organizzazione degli istituti, non riduce le responsabilità. Terza bacchettata, la più tagliente. Draghi ha l’impressione che, anche se in modo articolato e diversificato sul territorio, le banche non stiano facendo tutto il possibile nell’erogazione del credito alle piccole e medie imprese.
Si
dovrebbe riuscire a sottrarre il governatore dal chiacchiericcio romano. L’impressione che dà è quella di un tecnico con ottimo uso di mondo; che in questo momento dice la sua senza particolari arrière pensée politiche.