Gian Battista Bozzo
da Roma
«Tornare alla crescita: oggi è questa la priorità assoluta della politica economica italiana, proprio come lentrata nellUnione monetaria lo fu dieci anni fa». Le prime considerazioni finali di Mario Draghi sono stringate, prive di retorica; i numeri parlano da soli, senza bisogno di aggettivi. Davanti alle 2.500 persone che contano nella nostra economia, il governatore della Banca dItalia rende semplice quel che è complicato: «La stabilità finanziaria è condizione essenziale per lo sviluppo; ma in Italia, lo sviluppo è a sua volta un requisito per la stabilità. Occorre, preservando luna, riavviare laltro».
Crescita 2006 all1,5%. Questanno la crescita delleconomia savvicina all1,5%, un paio di decimali in più delle ultime previsioni, «grazie al recupero delle esportazioni e degli investimenti». Si tratta, spiega Draghi, di una ripresa congiunturale che però può favorire ladeguamento della struttura produttiva. LItalia è indietro nelle nuove tecnologie, e non può abbandonarsi al «malinconico rimpianto del protezionismo». La crisi italiana si chiama scarsa produttività. Dalla metà degli anni 90 il prodotto ottenibile da unora di lavoro è cresciuto meno che altrove: un punto percentuale in meno allanno, rispetto alla media Ocse. Imprese piccole dal punto di vista dimensionale, e specializzazioni produttive ancora tradizionali sono dostacolo al progresso dellefficienza.
Manovra da 26-28 miliardi. La crescita non si raggiunge senza stabilità finanziaria. Questanno, rileva il governatore, il deficit rischia di superare il 4%, con un aumento dellincidenza del debito pubblico sul pil. «Alla luce delle attuali tendenze - spiega Draghi - per consentire lobiettivo di un indebitamento netto del 2,8% a fine 2007, è necessaria una correzione dellordine di due punti percentuali di prodotto», dai 26 ai 28 miliardi di euro. «Eventuali interventi di abbassamento della pressione fiscale (leggi taglio del cuneo, ndr) richiederebbero il reperimento di risorse aggiuntive». Allincirca, una decina di miliardi.
Spesa, pensioni nel mirino. «È necessario frenare la spesa corrente, cresciuta nellultimo decennio del 2,5% allanno», avverte Draghi. Come? Due sono le «priorità ineludibili»: affrontare il nodo delletà media effettiva di pensionamento; responsabilizzare Regioni ed Enti locali nel controllo della spesa. La spesa per pensioni è pari al 15,4% del pil. E nonostante le riforme attuate, letà media di uscita dal lavoro in Italia è di circa sessantanni, nonostante unaspettativa di vita di 85 anni per le donne e 81 anni per gli uomini. «Lallungamento della vita lavorativa aiuterà anche ad aumentare il tasso di partecipazione al mercato del lavoro», rileva il governatore. Quanto alle amministrazioni locali e regionali, Draghi ricorda che erogano il 40% della spesa per stipendi nella pubblica amministrazione, e utilizzano per la sanità oltre il 13% dellintera spesa pubblica.
Meno fisco, più concorrenza. Più concorrenza e più mercato sono necessari al rilancio produttivo: lavoro, istruzione, servizi, contesto giuridico-amministrativo rappresentano le aree in cui intervenire prontamente. Nel 2005, il fisco ha prelevato (tra imposte e contributi, senza contare lIrap) il 45,4% del costo del lavoro di un dipendente tipo dellindustria. Il valore medio Ocse è il 37,3%. «Un livello eccessivo del cuneo fiscale e previdenziale frena lo sviluppo - osserva Draghi - ma le compatibilità di bilancio lasciano margini stretti per il finanziamento di una riduzione». Non solo. Anche lo spostamento dellimposizione dal lavoro ai consumi, con laumento dellIva, può provocare ripercussioni distributive indesiderate «da valutare anche con le parti sociali». Ne soffrirebbero infatti i ceti più deboli.
Flessibilità nei contratti. La questione della flessibilità del lavoro viene affrontata dal governatore di Bankitalia in maniera non convenzionale. «I contratti atipici - spiega - offrono un utile ventaglio di opzioni a imprese e lavoratori». Ma se diventano un «surrogato della flessibilità ordinaria dellimpiego», impediscono ai giovani di pianificare il futuro e frenano la produttività del sistema. Il rapporto di lavoro deve dunque «acquisire stabilità col passare del tempo». Si deve tutelare il lavoratore, più che il posto di lavoro con una indennità di disoccupazione «dignitosa» e opportunità di formazione. È il welfare to work adottato in molti Paesi progrediti.
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