«Ma il dramma è la fame di vita»

«Le ragazze smettono di mangiare non perché siano inappetenti, ma perché sono affamate che lottano con il proprio corpo. Il cibo è la rappresentazione simbolica del rapporto col mondo». Queste, secondo Francesco Montecchi - primario emerito di neuropsichiatria all’ospedale Bambin Gesù di Roma e creatore di Progetto girasole, centro di riferimento per chi soffre del disturbo alimentare - le ragioni dell’anoressia. Corpo e cibo dunque sono un «vestito» indossato per coprire una sofferenza emotiva, un disturbo mentale che si manifesta con sintomi quali ideazione ossessiva e fobia per il peso, mortificazione e negazione del corpo.
«Semplificando - spiega Montecchi - l’anoressia si può innestare su due strutture familiari opposte: la famiglia disimpegnata della società anglosassone e quella invischiata della società mediterranea. Nella prima dominano l’incomunicabilità, l’individualismo e la distanza affettiva e l’anoressia ha un valore di richiamo affettivo e di rifiuto di un cibo anaffettivo. Nella seconda, nessun membro ha un proprio spazio individuale e l’anoressia è un tentativo di differenziazione. Il rifiuto del cibo qui è il rifiuto delle scelte familiari, un sofferto tentativo per affermarsi».

Qual è quindi la modalità di cura attuata in Italia? «Agiamo a tre livelli: con un supporto familiare, se il paziente è adolescente; con una psicoterapia analitica individuale sul paziente e un costante monitoraggio fisico. È importante che l’anoressia non diventi cronica - conclude Montecchi - perché in età adulta può deviare verso altre patologie, spesso malattie mentali vere e proprie».

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