Le due donne che hanno messo ko Gianfranco

La Polidori dà l’appoggio all’esecutivo: insultata in Aula dai colleghi di partito e minacciata, abbandona il Fli. Anche la Siliquini sceglie il no: "Non potevo tradire i miei elettori". Ininfluenti le "mamme" Bongiorno e Cosenza

Le due donne che hanno messo ko Gianfranco

Roma - Il voto consegnato al commesso, cinque falcate veloci e trionfali, a testa alta, sotto il banco della presidenza, nemmeno uno sguardo allo scranno più alto, quello di Gianfranco Fini. L’ovazione dall’area destra dell’emiciclo che esplode come un ruggito. Lei che saluta con un cenno del capo sicuro e poi va via, lascia l’aula e lascia Fini, una sciabolata imprevedibile, che nemmeno le indiscrezioni più sensibili accreditavano a pochi minuti dal voto. Un graffio fatale al presidente della Camera, ricambiato con un davvero poco nobile «troia» che qualcuno le indirizza istantaneamente dai banchi di Futuro e Libertà.

Sulla ormai ex finiana Catia Polidori nessuno avrebbe scommesso un azzardo del genere: sì alla fiducia a Berlusconi, Fini bye bye. Solo chi ne aveva notato l’improvvisa sparizione proprio mentre Italo Bocchino dichiarava il voto dei futuristi. Qualcuno, lì, aveva capito che Fini, nel giorno cruciale, sarebbe caduto per mano di due donne, e che la seconda donna sarebbe stata Catia Polidori. Per lei, dopo la svolta, una giornata da fuggitiva, braccata da risentimenti e minacce: è scortata fuori dall’aula da Maurizio Lupi (Pdl). Incontra Berlusconi. Poi telefonate mute, intimidazioni via mail. La contattiamo sul cellulare alle 18.30: «Sono alla polizia giudiziaria della Camera per presentare denuncia per minacce, cose gravissime». Chiarisce: «Ho sempre detto che per me la sfiducia era un limite invalicabile». La mozione l’aveva firmata perché era un documento di «tattica politica» ma il tatticismo politico «ha un limite».

Dovevano essere decisive altre donne per la terza carica dello Stato, ieri, ed erano le mamme: Giulia Bongiorno, sulla sedia a rotelle, incinta e coccolata con molti baciamano, in prima fila come un soldatino fedele. Oppure l’altra mamma in attesa, Giulia Cosenza. Con loro presenti, l’orizzonte era il pareggio, addirittura la sfiducia.
Ma poi ecco le ultime dichiarazioni in aula, un minuto a testa. Maria Grazia Siliquini, avvocato di Torino, già sottosegretario all’Istruzione nel secondo governo Berlusconi, si alza. Uno schiaffo: «Non posso proprio votare la sfiducia». Ci si aspettava l’astensione, lei va più in là: sì a questo governo. La maggioranza la applaude. Siliquini ricorda l’ultima fiducia votata, il 29 settembre: «Vi chiedo cosa sia cambiato da quel giorno di così grave e di così irreversibile da convincermi a votare la sfiducia e da stravolgere il voto dei cittadini italiani».

L’intervento è stato scritto «alle due di notte», ci spiega, «in totale autonomia, da persona libera», nel «rispetto della mia coscienza e dei miei elettori di Torino». Racconta di essere stata informata della mozione Fli-Udc di sfiducia a Berlusconi, dieci giorni fa, «telefonicamente», e di aver avuto «appena tre minuti di tempo per decidere». Una delega di firma telefonica, data al «coordinatore del partito» (Adolfo Urso) con quell’ultimatum dei tre minuti, «un’accelerazione che ho subito», e trasmessa solo a patto che si trovasse una soluzione politica. Di fronte a una sfiducia «senza motivazioni», dopo aver tentato «fino all’ultimo un accordo», Siliquini si sfila dal gruppo: arriva il no a Fini, ribadito in un bigliettino in aula: «Non posso, proprio non posso». Questa mattina la deputata si iscriverà al Pdl.

Lascia il Fli anche Catia Polidori, imprenditrice di Città di Castello, per passare al gruppo misto: «Non me la sono sentita di lasciare il Paese in questa crisi economica senza la guida di un governo». Una decisione assunta «nella notte» e che le ha portato «sofferenza», e nulla in cambio: «Non c’entro proprio niente con il Cepu», ripete, perché per tutto il giorno è stata chiamata sui siti «Miss Cepu», anche a causa di un’illazione del finiano Barbareschi.

Su Facebook una pagina contro di lei è già affollata di insulti e minacce gravi.
Con Souad Sbai, che aveva lasciato i finiani a settembre, sono tre le donne perse da Fini in meno di tre mesi alla Camera. Ne aveva 8, ne sono rimaste 5: quasi dimezzate, contro 27 uomini.

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