Due o tre idee per ripartire

Silvio Berlusconi ha annunciato che è pronto un programma di governo, assolutamente serio e assolutamente concreto, per il prossimo anno. Di sicuro la notizia farà molto piacere a tanti italiani: che proprio di serietà e di concretezza sentono gran bisogno mentre attorno a loro impazza il carnevale delle veline scosciate e delle rivelazioni carpite. Spazzatura, dice il presidente del Consiglio, e la liquida come tale: osservando che ben altri devono essere i suoi impegni e i suoi motivi di preoccupazione in un momento di vacche magre per l’Italia (e per il mondo). Ha ragione. Poi aggiunge che questa robaccia tracimante da ogni pubblicazione non vale la pena di leggerla: e qui sono di parere diverso. Meglio porre attenzione a quel fango. Ne può anche derivare un insegnamento sugli atti e sui detti, pur privi di qualsiasi rilevanza oltrepassante il pettegolezzo, che i potenti devono evitare.
Ma il punto iniziale - usciamo dal garbuglio della maldicenza osé, guardiamo alle vere scommesse e incognite del futuro - rimane pienamente valido. Il Paese ha una forte voglia di ripartire, dopo una lunga stagione di ristagno e di ripiegamento. Se il Cavaliere, l’uomo del fare, dà il via alla carica dei 60 milioni che porterà il Paese a nuovi traguardi può essere certo d’avere con sé la stragrande maggioranza degli italiani.
Però sia l’incalzare della recessione - la si ritenga o no ai suoi ultimi colpi di coda - sia l’infuriare del pecoreccio impongono l’urgenza per la ripartita. Non è una scoperta. Lo sa benissimo anche Berlusconi: il quale ripete, ogni volta che gliene si offre l’occasione, d’essere come premier senza poteri. E sottolinea che le riforme istituzionali non possono avere una matrice unicamente partitica, e ancor meno apparire faziose. Per motivi ideali e per motivi procedurali esigono un consenso molto largo che è difficile ottenere.
Sacrosante verità. Ma è triste pensare che non ci sia proprio scampo e che il Parlamento, capace di trovare miracolose unanimità per aumentarsi i soldi non le trovi mai, o quasi mai, per modifiche costituzionali e legislative che tutti sanno non solo utili ma indispensabili. Nella sua chiacchierata dopo il voto il Cavaliere ha ricordato alcuni meriti del governo - rifiuti di Napoli, Alitalia, la riforma del processo civile - e ha lodato la bravura dei ministri, in blocco. L’Italia peraltro aspetta ancora che Berlusconi superi il sesto grado superiore di difficoltà governativa. In vista del quale tanti governi della Repubblica si sono rassegnati alla sconfitta: ossia la riforma della pubblica amministrazione. Senza di essa l’azione dello Stato si impantanerà sempre nell’inefficienza di chi dovrebbe portarla a compimento. Diciamolo con franchezza. Del gossip c’è sempre importato poco. Ma se davvero Silvio ci farà questo regalo, la riforma delle riforme, non ce ne importerà più nulla di nulla.
Saranno anche problemi minori. Ma davvero vorrei che il presidente operasse da chirurgo sulle spropositate indennità di troppe cariche elettive, e che lo facesse anche a costo di attirarsi mugugni e magari rifiuti di eurodeputati, deputati nazionali, senatori, consiglieri regionali. L’uomo approdato alla politica dall’esterno - come disturbatore - ha qualche volta dato l’impressione d’essere stato cooptato dal Palazzo. Ed è l’ultima cosa che i suoi elettori vogliono. Insieme a questo modesto ma sincero suggerimento, un altro vorrei indirizzarne al Cavaliere (sia chiaro che è esclusivamente farina del mio sacco). Rinunci a ogni iniziativa parlamentare che possa anche trasversalmente e indirettamente essere collegata a suoi interessi o difficoltà.

Ho la convinzione ad esempio che una materia come la legislazione penale, in ogni sua forma, vada maneggiata con la massima circospezione. Per tante altre cose - voglio citare il disboscamento della giungla legislativa - la ripartita può procedere al galoppo. Sarà accompagnata da una standing ovation degli italiani.

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