La staffilata arriva dopo un’ora e mezzo di comizio estenuante, a tratti noioso: «Berlusconi dimettiti - urla Fini e il catino di Bastia Umbra scatta in piedi in un tripudio di battimani - il presidente del Consiglio deve salire al Colle, dichiarare che la crisi è aperta di fatto e avviare una fase in cui si ridiscuta l’agenda, il programma, e verificare la natura della coalizione». È il trappolone detto chiaro e tondo. «Se al contrario non ci sarà questo colpo d’ala, se prevarranno i cattivi consiglieri, i nostri rappresentanti nel governo non resteranno un minuto di più».
Poco prima arriva pure l’apertura all’Udc: «Quando Berlusconi dice di voler fare un appello ai moderati italiani dice una cosa importante. Ma è impensabile che l’Udc arrivi gaudente e dica “adesso votiamo insieme al governo”. Sarebbe una logica mercantile che punta a sostituire una forza moderata con un’altra». Di fatto, un «no» assoluto a un Casini in sostituzione di Fini. Benvenuto, invece, a un Casini anti Bossi.
La Lega, infatti, è il bersaglio principale del presidente della Camera. Il quale, tuttavia, attacca anche Tremonti, il governo, il Cavaliere, gli ex colonnelli, il Pdl e il berlusconismo. Sul capitolo immigrazione, va all’assalto Fini, «non c’è in Europa un movimento politico come il Pdl che sui diritti civili è così arretrato culturalmente perché a rimorchio della peggior cultura leghista». E ancora: «S’è sottovalutato l’egoismo strisciante della Lega cui non interessa nulla di ciò che accade dal Po in giù». E il Pdl, al Nord: «È la pallida copia sbiadita del Carroccio». Neppure il ministro degli Interni Maroni viene salvato dai suoi j’accuse: «Da lui qualche buon risultato ma è soprattutto merito dell’azione di polizia e carabinieri».
Pollice verso anche per il ministro Tremonti che «usa i fondi Fas come fossero dei bancomat a cui ricorre quando la Lega glielo chiede». Ma soprattutto: «Al di là del merito di aver contenuto la spesa, gli contestiamo i tagli lineari: la migliore modalità per non scegliere dove tagliare e dove investire». Neppure il lavoro della Gelmini va bene: «La sua riforma è giusta. Ma senza soldi era meglio non farla. E i soldi non ci sono».
Male tutto il governo, insomma, perché «galleggia e ha perso il polso del Paese. Tampona le emergenze e basta». Mentre l’Italia «non è il Paese dei balocchi che Berlusconi dipinge come ha fatto nell’ultima direzione del Pdl». Esecutivo patacca, insomma, «governo del fare. Sì, fare finta che tutto vada bene», graffia Fini. Al Cavaliere non fa sconti su nulla, anche se non arriva a citare espressamente Ruby: «Che dolore leggere del crollo della Domus dei gladiatori a Pompei e quell’altra notizia della scorsa settimana: danno all’estero un’immagine della nostra Italia che non è certo quella che gli italiani si meritano».
Cita persino il Papa, Gianfranco, quando afferma che «la spazzatura non è solo nelle strade ma nelle anime e nelle coscienze». Ed ecco quindi sventolare la (sua) bandiera della legalità che a pensare all’affaire Montecarlo e alle pressioni sul funzionario Rai per favorire i suoi familiari suona quasi beffardo: «La legalità non è solo il pacchetto sicurezza ma un abito mentale, il senso del dovere, il rispetto delle istituzioni, il senso dello Stato». Ecco perché, assicura Fini, «noi del Fli non saremo una zattera della Medusa che accoglie tutti. Non raccoglieremo naufraghi e straccioni. Porte aperte a tutti esclusi affaristi e carrieristi».
Difficile, con un discorso così, andare avanti insieme. Tant’è vero che i 5 punti di Berlusconi sono liquidati così: «Il patto offerto da Berlusconi non può essere un compitino che gli scolaretti devono approvare a pena di lesa maestà».
Il Parlamento, ai suoi occhi, è troppo berlusconizzato: «Ho un rimpianto del rigore, dello stile, del comportamento di Moro, Berlinguer, Almirante e La Malfa». Un inno alla Prima Repubblica e ai suoi riti. Imparati bene nell’offerta politica finale di Fini: un nuovo governo dove i fillini, nati nel palazzo, possano contare di più.FCr
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