E Bazoli torna l’uomo forte in via Solferino

L’artefice del nuovo polo bancario tra Intesa e San Paolo approfitta delle difficoltà di Mieli e Tronchetti per riacquistare peso tra i soci

da Milano

Il quesito «chi comanda al Corriere» ha due risposte, una statica e una, come dire, dinamica. Quella statica corrisponde all’assetto patrimoniale della società, quanti e quali sono i soci; quella dinamica è più ardita, perché indica i pesi del potere, che variano secondo le metamorfosi striscianti dell’economia italiana. Per la prima basta una scheda della società, la seconda è il frutto delle interpretazioni.
Cominciamo dalle quote. Solo il 22% del Corriere appartiene al mercato, e viene, cioè, scambiato in Borsa. La maggioranza è invece distribuita tra 15 soci, che uniscono con un patto di sindacato il 63,5% del capitale: all’interno di questo patto, e solo qui, vengono prese le decisioni strategiche sul gruppo e quelle editoriali sul Corriere della Sera. Fuori dal patto, ma in posizione di rilievo i tre «eredi» della quota irresponsabilmente messa insieme dalla meteora Stefano Ricucci: il suo 15% è stato diviso in parti all’incirca uguali tra il gruppo Toti, la famiglia Benetton e Giuseppe Rotelli. Nel patto siedono i nomi più illustri dell’attuale parterre economico italiano; il primo socio è Mediobanca (13,2%), seguito da Fiat (10,3%) e gruppo Pesenti (7,1%). Con quote decrescenti Fondiaria-Sai (Ligresti, 5%), Diego Della Valle (4,8%), Pirelli (Marco Tronchetti Provera, 4,8%), Banca Intesa (Bazoli-Passera, 4,8%) e poi Generali (3,6%), Capitalia (Cesare Geronzi, 2%), Luigi Lucchini (1,9%), Francesco Merloni (1,5%), Mittel (Giovanni Bazoli, 1,3%), Roberto Bertazzoni (1,2%), Edison (1%), Gemina (Cesare Romiti, 1%).
Fin qui i numeri. Ma il potere cambia anche a dispetto di questi. Così oggi la Rcs sta vivendo la nuova stagione di Giovanni Bazoli, che ha recuperato tutto lo smalto che aveva perso negli anni recenti. Facciamo solo un piccolo passo indietro. Bazoli, che aveva ereditato il ruolo di eminenza grigia dopo la scomparsa di Enrico Cuccia e di Gianni Agnelli, era stato l’artefice della nomina alla direzione di Stefano Folli. L’uscita di questo aveva coinciso con il suo indebolimento: la scelta di Paolo Mieli aveva avuto altri sostenitori, in primis Tronchetti Provera, Geronzi, Della Valle, Montezemolo. Bazoli si era ritrovato in disparte.
Ma la sua riscossa in questo momento è doppia: da un lato la fusione Intesa Sanpaolo e la creazione della più grande banca del Paese gli hanno ridato vigore sulla scena; dall’altro alcune delle sue «controparti» si sono un po’ opacizzate: le vicende Telecom, finanziarie e giudiziarie, pesano su Tronchetti Provera, Geronzi è stato indebolito da vicende penali, il troppo antiberlusconismo non giova a Della Valle. Mieli, da parte sua, sta perdendo copie, e questo non ne rafforza certo il ruolo, nonostante la sua capacità diplomatica. Perché se Carlo Caracciolo si è spinto a dichiarare a Panorama che Repubblica ha sorpassato il Corriere per vendite in edicola, significa che deve esserne ben sicuro.
Bazoli è a capo della superbanca nazionale, con Mittel si sta comprando la Hopa di Gnutti, e pesa sempre di più (anche attraverso un suo uomo, Roman Zaleski), in un denso concentrato di potere quali sono le Generali.

Siamo, probabilmente, alla vigilia di qualche mutamento storico per via Solferino. Se un vicedirettore del Corriere come Massimo Mucchetti (bazoliano di ferro) si può permettere di attaccare in un libro il proprio direttore, significa che ha le spalle non coperte: supercoperte.

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