E le chiamavano priorità

Michele Serra è un accidioso e simpatico signore che pone dei quesiti ricorrenti. Ieri, su Repubblica, erano questi: «È più importante fare le grandi opere o investire nelle periferie? Viene prima l’alta velocità o il trasporto dei pendolari?». Il 3 marzo 2004, su Repubblica, si chiedeva pure: «Come può, un Paese che difetta nell’ordinario, cimentarsi nello straordinario?». Sono dubbi di cui è piastrellata tutta la pubblicistica di sinistra del dopoguerra. L’Unità, ottobre 1964: «Abbiamo l’autostrada del Sole, ma mancano le strade normali». L’Unità, settembre 1977: «Occorre capire se la Tv a colori è conciliabile con la necessità di case, scuole, ospedali». Le risposte sono retoriche come i quesiti: non c’è Paese occidentale dove le infrastrutture non si sviluppino a velocità differenziate; ossia: se è vero che nelle metropoli stanno mettendo la fibra ottica, mentre a Ginostra, per esempio, hanno appena messo l’elettricità, il punto è che stanno progredendo sia le metropoli che Ginostra: e però non ci si può fermare ad aspettare tutte le Ginostra d’Italia, perché da qualche parte ci sarà sempre una strada dissestata, un acquedotto insufficiente, qualcosa che non impedisca ad altri, tuttavia, di fungere da locomotiva.

Ha ragione Serra nel temere che le due velocità possano divergere troppo; ma c’è da sperare che il Paese delle Gioia Tauro e delle opere perpetue, a destra come a sinistra, abbia imparato qualcosa. Noi ci speriamo. Lui forse non più.

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