LItalia non è messa così male come sembra. È quanto emerge, in sintesi, dal rapporto degli analisti finanziari di Crédit Suisse dopo il downgrade sul credito. Innanzitutto, sottolinea il report, il rischio di default è inferiore a quanto si possa pensare e sicuramente «molto più basso del resto dellEuropa periferica». Fra i punti di forza del nostro Paese cè un deficit di bilancio di solo il 4,1% del pil, mentre in realtà ha un avanzo primario - al netto quindi della spesa per interessi - di bilancio dello 0,6% del prodotto interno lordo (dati Fmi). In Europa, solo la Norvegia e la Svizzera vantano un avanzo primario.
Inoltre, spiegano gli analisti, lindebitamento complessivo - quindi sia pubblico che privato - in Italia risulta inferiore al livello medio della zona euro e questo, spiegano, perché i livelli molto elevati di debito pubblico (121% del pil) sono compensati da un basso debito privato.
Gli analisti di Crédit Suisse sostengono inoltre che la perdita di competitività in Italia e la bassa crescita sono un problema «ma con un disavanzo delle partite correnti del 3,9% del pil, la perdita di competitività sembra essere più piccola di quella di Grecia e Portogallo (dove il disavanzo delle partite correnti è rispettivamente al 9,6% e all8,9% del pil)». Per quanto riguarda poi il debito sovrano, circa la metà è di proprietà di investitori nazionali: inoltre, la scadenza media è di 7,2 anni. Ciò significa, spiegano gli analisti, che ogni aumento dell1% nel rendimento dei titoli dopo un anno aggiunge solo lo 0,4% del Pil per i costi di finanziamento (secondo il ministro delle Finanze italiano).
In definitiva, sostengono gli analisti di Crédit Suisse, lItalia è stata disponibile ad adottare alcune misure fiscali dolorose, con un nuovo pacchetto di austerità di 60 miliardi di euro (3,8% del pil) tra il 2011 e il 2014. Quindi, conclude listituto elvetico, «riteniamo che il rischio di insolvenza prezzato sul mercato dei Credit default swap (le «assicurazioni» contro un eventuale crac) è troppo alto (20% ipotizzando un tasso di recupero pari a zero, il 32% assumendo un tasso di recupero 40%). La stima del mercato del rischio di default si esprime anche nella index linked del mercato obbligazionario, con i 10 anni indicizzato al 4,7% di rendimento, rispetto al -0,2% nel Regno Unito e prossimo allo zero negli Stati Uniti.
Il problema principale in Italia è la crescita molto bassa e lunica via duscita che possa funzionare è una ripresa vigorosa globale, un euro più debole o più debole dei prezzi internazionali delle materie prime (in Italia le importazioni delle materie prime al netto sono circa il 4% del Pil) o, naturalmente, una caduta molto forte dei costi di finanziamento.
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