E l’Ue studia l’uso delle energie alternative

Entro il 2013 saranno investiti tre miliardi nella ricerca sull’idrogeno

Diego Luigi Marin

da Petten (Olanda)

Tra l’incudine di una crescita stentata e il martello di un’insostenibile dipendenza dal petrolio, l’Europa progetta il suo futuro energetico. E si prepara a investire quasi 3 miliardi di euro in ricerca e sviluppo. È quanto promette il settimo programma quadro per il periodo 2007-2013, destinato a traghettare l’Ue verso un mix energetico più legato alle fonti rinnovabili e sempre meno ai combustibili fossili, segnando il passaggio all’economia dell’idrogeno. Un traguardo al quale si dedica alacremente l’Istituto per l’energia di Petten, in Olanda, uno dei sette centri europei per la ricerca comune. Qui sono state inaugurate due nuove strutture, che coronano un lavoro di 4 anni e un investimento di 5 milioni di euro. L’una per testare i serbatoi dei veicoli, le performance dei sensori di sicurezza e le caratteristiche dei materiali allo stato solido che immagazzinano l’idrogeno; l’altra per sviluppare la tecnologia delle fuel cell, le celle a combustibile che producono elettricità. «Oggi l’Europa - ha spiegato il commissario per l’Energia, Janez Potocnik - copre il suo fabbisogno importando il 50% dei combustibili; questa dipendenza salirà al 70% entro il 2030. L’idrogeno è una delle più promettenti componenti del mix energetico (con fusione nucleare, biomasse e altre fonti rinnovabili), ma richiede ancora ricerca e sperimentazione importanti». Inoltre, servono investimenti per creare nuove industrie, nuovi impianti di fornitura e infrastrutture per permettere l’atteso decollo commerciale, dalla produzione alla distribuzione, dallo stoccaggio al rifornimento. Cioè, per sviluppare la filiera. A Petten, nel bunker dalle pareti spesse un metro, sotto uno strato di sabbia tre volte maggiore, si svolgono i test su serbatori riempiti con idrogeno a 700 bar. Non lontano si lavora a una pila a combustibile da 100 Kw elettrici, sperimentandone le performance nelle diverse condizioni d’uso; e l’energia prodotta viene utilizzata per alimentare l’edificio. «Cerchiamo di far emergere - ha spiegato Antonio Soria, coordinatore dell’istituto comunitario Ipts per lo studio delle tecnologie di frontiera - gli ostacoli tecnici ed economici che rallentano l’accettabilità e la produzione su larga scala». Ovvero, come produrre e poter consumare al meglio l’idrogeno. Che non è una fonte, ma un vettore di energia combustibile molto efficace. «Se oggi per estrarre un barile nel Golfo Persico servono 2 dollari (e l’Opec ce lo fa pagare più di 60) circa 0,4 centesimi al Joule, il gas naturale costa da 2 a 4 dollari al J., mentre l’idrogeno che da questo si ricava ne richiede da 5 a 8. Passando alla gassificazione e alla tecnica di cattura dell’anidride carbonica, con relativo stoccaggio, si parla invece di almeno 12 dollari al J.». Più elevati sono i prezzi da pagare per ricavare idrogeno dalle biomasse con la pirolisi e pure dall’elettrolisi, mentre col nucleare, fuori orario di picco, ci si colloca sui 30 dollari al J.

Insomma, l’idrogeno può diventare economico in funzione del mix energetico utilizzato per produrre elettricità. «Una penetrazione realmente significativa, superiore al 5% nell’ambito dell’industria e dei trasporti - ha aggiunto Soria - si potrà vedere a partire dal 2040».

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