Economia

«E ora via libera al Crédit Agricole italiano»

Angelo Allegri

da Milano

«Il progetto di fusione tra SanPaolo e Intesa ha dato una scossa al mercato. Ora mi aspetto che succeda un’altra cosa importante: la nascita del Crédit Agricole italiano». Paolo Gualtieri, ordinario di economia degli intermediari finanziari alla Cattolica di Milano, ha una certezza: le prossime nozze nel settore del credito porteranno all’altare due (o più) Popolari. E a creare un nuovo protagonista che, come la banca francese, potrà muoversi a livello internazionale, pur mantenendo le proprie radici nel sistema mutualistico.
La struttura giuridica delle Popolari resta però un ostacolo importante.
«Non necessariamente. Certo rende più complesso il processo di aggregazione. Ma non ha solo questa caratteristica: contribuisce a innalzare le difese rispetto ad attacchi esterni. E rappresenta anche una leva importante in mano ai manager delle stesse Popolari».
Bisogna vedere se questi ultimi decideranno di usarla.
«Credo che le pressioni competitive messe in moto dalla fusione tra Intesa e Sanpaolo non lascino alternative. Le nozze hanno creato un gruppo che ha una quota di mercato pari al 20%. L’altro colosso, Unicredit, ha l’11%. La situazione è molto cambiata».
Le due grandi banche rimaste zitelle sono Capitalia e Montepaschi. Con un buon matrimonio possono diventare il terzo grande colosso del credito italiano?
«Intesa e Unicredit superano i 60 miliardi di capitalizzazione: Capitalia è intorno ai 18, Montepaschi non arriva a 15. Visti i numeri è difficile che possano diventare protagonisti "aggreganti" di un’operazione che porti alla nascita di un colosso come Intesa e Unicredit. Certo, Montepaschi ha un vantaggio: un socio forte nel capitale. Tenendo conto delle azioni privilegiate la Fondazione ha il 60%. Anche sposando una banca di dimensioni doppie rimarrebbe al 30%, quota che con tutta probabilità ne farebbe comunque il socio di controllo».
Quanto ai due numeri uno, Intesa e Unicredit, come vede ora il loro testa a testa?
«Hanno caratteristiche diverse: si potrebbe dire che Unicredit ha un difetto di presenza sul mercato italiano, SanPaolo-Intesa un difetto nella presenza all’estero. Per questo mi aspetto strategie diverse: la prima mossa di Unicredit potrebbe essere nella Penisola. La prima mossa di Intesa-SanPaolo, una volta terminata l’integrazione, potrebbe rivolgersi ai mercati internazionali».
Tra l’altro hanno adottato modelli organizzativi diversi. La nuova Intesa il modello della banca dei territori, Unicredit quello definito «funzionale».
«In realtà i due modelli non sono così alternativi e, anzi, si intrecciano. Nel primo prevale la segmentazione dell’offerta per l’appunto su base territoriale. Nel secondo sul tipo di clientela. Il modello territoriale è quello su cui Intesa ha costruito la sua crescita: gli sportelli della Cassa di risparmio di Parma e Piacenza restano tali, anche dopo anni che sono diventati di Intesa. Ma più o meno lo stesso fa Unicredit in molte regioni italiane. La tendenza sarà comunque quella di Unicredit, e cioè verso l’unificazione del marchio».
La differenza tra le due banche riguarda anche l’asset management. Intesa ha venduto il 65% di Nextra, Unicredit ha comprato Pioneer.
«La tendenza internazionale vede l’emergere di protagonisti che da un lato sono molto grandi per ottenere le necessarie economie di scala, dall’altro sono indipendenti e hanno prodotti distribuiti su più reti. La nuova Superbanca ha dimensioni tali da poter rappresentare una piattaforma di tutto rispetto. Con Pioneer, un marchio consolidato e autonomo, Unicredit ha raggiunto diversi obiettivi in un colpo solo: presenza nel settore, dimensioni e immagine di indipendenza»
La nuova Superbanca ha deciso di adottare un sistema di governance duale. Una prima assoluta: non sarà un rischio?
«Se serve ad aumentare la collegialità delle decisioni e una migliore composizione degli interessi degli azionisti è un vantaggio.

Visto che in Italia è un sistema inedito, il rischio che si riveli farraginoso c’è».

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