E ora rischia di esplodere la questione Kosovo

Se è stato un caffè, come quello di Pisciotta e di Sindona, o una prolungata omissione di soccorso, cioè un altro «caso Craxi», a uccidere Milosevic, lo dirà l’autopsia chiesta dalla famiglia. La vedova vuole seppellirlo a Mosca e non a Belgrado, almeno non nella Belgrado del presidente Boris Tadic, che pure le ha fatto le condoglianze, come del resto il capo del governo Vojislav Kostunica.
Ma anche nell’ipotesi più benevola il Tribunale penale internazionale (Tpi) dalla vicenda Milosevic esce bene politicamente, ma male moralmente. E quest’ultimo aspetto è particolarmente grave per un’istituzione senza legittimità e con poca legalità, visto che è pagata proprio dai Paesi che bombardarono la Jugoslavia di Milosevic e che agisce non erga omnes, ma solo contro i Paesi che componevano la Jugoslavia. Proprio per queste ombre il Tpi dovrebbe essere irreprensibile almeno nel resto: non curandosene, la sua natura di strumento politico diventa palese.
Il processo al Tpi arrancava infatti davanti all’arcigna difesa condotta da Milosevic in prima persona. Lo sforzo però ne aveva logorato il cuore, tanto che dalla Russia era giunta l’offerta di curarlo, prima che fosse tardi. Invano: il Tribunale penale aveva detto no. Così l’evitabile è accaduto e solo gli idolatri di Carla Del Ponte, il procuratore del Tpi, vogliono credere che sia accaduto per caso. Bastava osservare l’andamento di questo processo politico, nato per essere mediatico più di ogni altro e finito con l’esser sostanzialmente un processo a porte chiuse. Se le prove fossero state schiaccianti, per crimini gravi come il genocidio, il processo Milosevic sarebbe andato in onda in diretta, giorno e notte.
La «pena» di morte senza una sentenza chiude così il caso per l’imputato principale di un processo che continua la politica di disfacimento della Jugoslavia con altri mezzi. Il processo continuerà per gli altri imputati maggiori, come il nazionalista Vojislav Seselj, che ora hanno un’idea più precisa di che cosa li attende.
Dopo il consecutivo «suicidio» di un condannato, il serbo di Croazia Milan Babic, e la «morte naturale» di Milosevic, sono ora inesistenti (sempre che esistessero prima) le possibilità che si consegnino al Tpi Ratko Mladic e Radovan Karazdic. Tanto varrebbe suicidarsi.
Non solo. Nel giro di pochi mesi c’è stata una serie di rintocchi a morto per la Serbia-Montenegro e di eventi preoccupanti per Grecia e Italia. Il capo degli albanesi del Kosovo, Ibrahim Rugova, non aveva ancora esalato l’ultimo respiro che già la proclamazione d’indipendenza formale della regione, rinviata dal presidente Usa Bush, tornava all’ordine del giorno. La conferenza di Vienna - una sede più indicativa non c’era delle sue intenzioni, salvo Berlino - per regolarne le modalità ha, come il processo dell’Aia, un esito più probabile degli altri: che Pristina diventi, da capoluogo, capitale. Ciò aprirebbe la via all’implicita confederazione con annessione all’Albania, ovvero alla costituzione di una «Colombia» musulmana di fronte alla Puglia.
Questo magma comprometterebbe la Macedonia, dove la presenza albanofona è rilevante e i fermenti irredentisti sono in proporzione. In quest’ipotesi la Grecia - sensibilissima alla questione macedone, come sa chi ricorda certi attriti in merito proprio con l’Italia - sarebbe risucchiata in un conflitto.
Il distacco del Kosovo dalla Serbia coinvolge poi quello del Montenegro, che con la Serbia ha costituito due anni fa una federazione fittizia. Ora però incombe il referendum secessionistico. E un Montenegro «sovrano» sarebbe un protettorato tedesco-croato, salvo un risveglio dell’Unione europea provocato da Roma, se non da Parigi, onde Berlino non prenda troppo sul serio il ruolo egemonico accarezzato dall’ex cancelliere Helmut Kohl.
In politica, soprattutto internazionale, a pensar male si farà peccato, ma difficilmente si sbaglia.

Poiché la soluzione che Berlino e Vienna fino al 1999 proponevano a Belgrado per il Kosovo era concedere un’autonomia da Alto Adige, quando il Kosovo sarà indipendente, la soluzione che Berlino e Vienna potrebbero proporre a Roma per l’Alto Adige rischia di essere una sovranità da Kosovo.

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