Alessandro M. Caprettini
da Roma
Al gelo di Rumsfeld, ma soprattutto alla messa a punto dellassistente di Condoleezza Rice, Barbara Stephenson, giunta a Roma laltra sera a chiarire che «le competenze degli italiani continueranno ad esser necessarie per far fronte ai bisogni di cambiamento» a Nassirya, Massimo DAlema replica piccato: «Il ritiro dei soldati italiani dallIrak è iniziato e si completerà entro lautunno con un programma che stiamo concordando con i nostri alleati e che è stato molto apprezzato, soprattutto dal governo iracheno!».
Nessuna concessione a Washington, insomma. Lidea che il nostro governo possa accettare mansioni per una più completa ricostruzione - il che comporterebbe, da quel che hanno spiegato i nostri generali, la presenza di almeno un migliaio di soldati - è rispedita seccamente al mittente, impacchettata con lassicurazione che a Bagdad sono pienamente daccordo con noi. Il che rende un po meno idilliaci di quanto fin qui si era voluto mostrare, i rapporti tra Roma e lalleato di oltreoceano. Parisi, dopo gli abboccamenti col collega inglese e con lo stesso Rumsfeld nel quartier generale della Nato, a Bruxelles, aveva negato contrasti.
Anche ieri il ministro della Difesa, pur ribadendo «il rientro del nostro contingente nel rispetto degli impegni presi con gli elettori», ha tenuto a smorzare qualsiasi polemica. Nessuna citazione dei rapporti con gli Usa, neanche sulle richieste fatte filtrare a Roma - con insolito comunicato dellambasciata Usa - dalla Stephenson, viceconsigliera senior del dipartimento di Stato, in pratica il braccio destro della Rice. «Un rientro - ha tenuto a puntualizzare Parisi dando per scontato che si tratti di obiettivo discusso e concordato - non un ritiro e men che mai una fuga... ».
Ma al di là delloceano alle parole fanno poco caso. Da Washington parte un segnale di non gradimento per laddio senza possibilità di lasciare personale civile per lassistenza necessaria alla ricostruzione. Laveva già fatto intravedere lambasciatore Ronald Spogli qualche giorno fa, che gli Stati Uniti si attendevano loperatività di personale civile. Lipotesi a quel che si sa, era stata anche vagliata dal governo Prodi, ma a fronte dei rischi che la Difesa ha sostenuto continuano ad esistere si è deciso di bloccarla sul nascere. Così DAlema, nel suo blitz in Irak di metà settimana, ha fatto balenare accordi economici (da stipulare a Roma a settembre), corsi di formazione per il personale di Bagdad, ma da tenere allestero, intese sul piano sanitario. Ma niente di niente, invece, sul territorio.
E così ieri, davanti al pressing statunitense, la formale conferma pronunciata dal vicepremier e ministro degli Esteri a latere del convegno ligure dei giovani imprenditori, ma da far rimbalzare a Washington, che lItalia non ha alcuna intenzione di riaprire la piaga. «Abbiamo già detto tutto, anche sui tempi» ha fatto sapere DAlema, ricordando il consenso ottenuto dal governo iracheno al progetto di sganciamento comunicato. E ha aggiunto: «Mi sembra un passaggio decisivo, visto che sono loro il governo legittimo iracheno!».
Più che scontato che Prodi, sul tema, possa incontrare una certa comprensione nei colloqui che lo impegneranno per tutta la settimana: da martedì (a Vienna col presidente di turno della Ue Schuessel) a venerdì (Bruxelles, consiglio Ue) passando per Parigi dove vedrà Chirac e Berlino, dove incontrerà la Merkel. Più spinoso invece a questo punto rischia di divenire il miniviaggio di DAlema a Washington, in programma per il prossimo venerdì.
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