Ecco il "fatale" Vangelo del tredicesimo apostolo. L'unico che dice la verità

Il thriller storico-teologico di Angelo Ascoli riscrive il mistero della morte di Gesù di Nazareth

Ecco il "fatale" Vangelo del tredicesimo apostolo. L'unico che dice la verità

Per una volta abbandoniamoci al brigantaggio della lettura. Questo libro romanzo?, apocalisse?, thriller teologico? va letto dal capitolo XV, da pagina 249. In quel luogo del libro viene dissotterrato, dopo duemila anni, "Il vangelo di Leonardo", redatto da Il tredicesimo apostolo - così il titolo del singolarissimo libro di Angelo Ascoli (Cantagalli, pagg. 270, euro 19) - "l'unico che scrisse la verità". E qual è questa verità? La morte di Gesù, la morte definitiva, il massacro della promessa, il supremo tradimento, un frainteso che si perpetua, tra riti e incensi, da secoli.

Le pagine di questo "nuovo, unico e vero vangelo" sono spesso abbacinanti, ricordano per chi ha la mente maculata da scrittori-licaoni i più cupi libri di Giovanni Testori (La Cattedrale e Passio Laetitiae et Felicitatis). Leggete qui: "Io l'ho visto trascinare la croce sulle sue spalle spezzate, avanzare sulle gambe maciullate. Io l'ho visto mentre mani schifose lo inchiodavano sul legno. Io l'ho sentito urlare per il dolore e l'umiliazione. Io l'ho sentito piangere e gemere. Io l'ho visto mentre un impasto di sangue e piscio gli colava tra le gambe. Io ho visto il mio Signore ridotto a una bestia macellata e terrorizzata, un ammasso di carne squassata appesa ai chiodi, come un agnello a pasqua inchiodato al muro del macellaio". L'esito di tale intenebrato annuncio è scandalo nello scandalo: "E anche la Chiesa potrà liberarsi dal grande equivoco, dal peso di dover annunciare un Dio in cui non crede più, di raccontare una vittoria sulla morte che non c'è mai stata, l'unico ostacolo che impedisce all'uomo libero, all'uomo totale di vincere davvero la morte".

Che resta da fare, allora? Inoltrarsi in un cuore catacomba, vegliare al fianco della carcassa di Dio, mettere dimora non più nel tempio ma nel sepolcro. Siamo, qui, nel negativo della "via negativa" per chi ha pratica: Pseudo-Dionigi Areopagita; La nube della non-conoscenza; Giovanni della Croce : da questa maceria di ombre, di spettri detti Paraclito non si munge altro che silenzio, quando non interdetto. Per comprendere "per figure" il fatale vangelo di Leonardo, affratellatelo al Corpo di Cristo morto nella tomba di Hans Holbein il Giovane e all'Agnus Dei di Francisco de Zurbarán: da un lato, il Messia ridotto a mera bestia, garretti legati, pronto a essere scannato, dall'altro la canea della kenosi, il puro, terribile cadavere, spoglio di tutto, di atterrita bellezza, eletto a corruzione. Che abisso: un dio che sceglie di morire perché tu, figlio suo, ne indossi le spoglie.

Dimenticavo. Il tredicesimo apostolo, ambientato nella fittizia Sanfilippo, placido borgo siciliano, si legge, appunto, come un thriller. Tra l'altro, c'è un cadavere, ci sono degli esseri angelici e delle donne di angelica superbia. Il romanzo attacca con "tre strani personaggi sbucati chissà da dove" e si svolge con volute che, va da sé, rimandano al Maestro e Margherita di Michail Bulgakov. Spesso il narratore interviene con l'agilità di un puparo. Soprattutto, il libro è pieno di frase rare, rotonde, di aurorale sapienza; questa ad esempio: "Bisogna amare molto qualcuno per perdonargli il suo sonno. Perché guardare il sonno altrui è fargli violenza, penetrare nella sua camera segreta, spiare i suoi misteri. È come guardare un cadavere e osare non distogliere lo sguardo. Solo il sonno dei bambini si può osservare, perché è indistinto". Il pezzo in cui si parla di "tutte le migliaia, i milioni di personaggi usa e getta con cui gli scrittori popolano i loro romanzi" che dovrebbero prendere "coscienza dei loro diritti" (siamo intorno a pagina 122) è esilarante. L'autore, Angelo Ascoli, si legge nelle scarne note biografiche, "ha iniziato a scrivere questo romanzo diversi anni fa, e lo ha messo nel cassetto. Dimenticandolo". Ecco: lasciare i manoscritti a maggese per qualche anno è regola aurea per valutare la consistenza di un'opera, il suo grado di durezza e di durata. Il risultato è un libro felicemente colto basta non lasciarsi deviare dalla copertina, fallace, da fantasy in platea , fieramente antimoderno, audace per vertigini.

Se per l'idea di fondo il vangelo che contiene un sovrappiù di verità rispetto ai canonici quattro Il tredicesimo apostolo rimanda al capolavoro di Mario Pomilio, Il quinto evangelio, la scrittura teatrale, baroccheggiante, piena di neri umori, di umbratili lussurie ricorda i romanzi di Elémire Zolla, Minuetto all'inferno, ad esempio, edito da Einaudi nel '56 e recentemente recuperato dalle edizioni Cliquot. Quanto al sottosuolo "morale" del libro, credo che la fonte-zar sia Un commento alla Bibbia di Sergio Quinzio: l'esegeta autodidatta, che agiva con l'accetta, dimostra che "Qualunque tentativo di reinterpretazione della Rivelazione in funzione delle esigenze di una certa cultura, per adattarla e inserirla verosimilmente e plausibilmente in essa come suo elemento, la nega capovolgendola nel momento stesso in cui avrebbe l'intenzione di affermarla". Latitanti da Gesù il grande inattuale, il grande inattuato non resta che latrarne l'assenza, assemblarci intorno al suo "fallimento" e invocare "il Giorno... perché consumata tutta la morte ci sia finalmente la vita, la vita perduta e ritrovata".

Tranquilli tutti, non vedremo Ascoli gareggiare nei regali sobborghi della premiopoli nostrana.

D'altronde, Ascoli fa quello che deve fare uno scrittore: irretire i lettori con le questioni prime e ultime, indagare il mistero della vita e della morte, anelare all'invisibile, all'indicibile, mappare l'aldilà. Tutte cose che i letterati odierni, lacchè dell'ovvio, mestieranti del proprio ego, ignorano.

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