Da una parte i «si dice», i «si mormora», le date sbagliate, i ricordi confusi, le chiacchiere. Dallaltra larresto di due super-ricercati, un colpo netto alla criminalità organizzata, lennesima battaglia vinta nella lunga guerra dichiarata dallo Stato alle mafie di questo Paese: risultati reali di strategie precise, di lunghe investigazioni, di operazioni di polizia perfette, di norme mirate, di fatti concreti.
Da una parte un pentito equivoco, protagonista di un processo show che va in scena, dallaltroieri, a Torino. Dallaltra larresto di due boss mafiosi, avvenuto ieri a Palermo e Milano: Giovanni Nicchi, considerato il numero due di Cosa Nostra a Palermo, al vertice dellorganizzazione a fianco di Matteo Messina Denaro; e Gaetano Fidanzati, uno dei capimafia storici siciliani. Entrambi nellelenco dei primi trenta ricercati in Italia.
Da una parte una teatrale campagna politico-mediatica orchestrata per colpire da anni lo stesso identico «bersaglio», dallaltra la dimostrazione plateale dellimpegno da sempre di questo Governo contro cupole e padrini.
Paradosso solo apparente di un Paese facile alle contraddizioni strumentali e alle «doppie morali», laccusa di supposta «connivenza» con la mafia lanciata contro un capo dellesecutivo che come nessun altro lha nei fatti combattuta, è la riprova della malafede a prescindere e della «presunzione di colpevolezza» quotidianamente manifestata dagli oppositori del premier. Ma è davvero credibile che il leader politico accusato da un pentito di commissionare servizi alla Cupola negli anni Novanta sia lo stesso che la sta scientificamente decapitando? È verosimile, fuori dalla fiction e dalla calunnia, un premier mandante di stragi e omicidi? È plausibile, al di là di una satira scontata e stucchevole, immaginare Silvio Berlusconi che delega ai suoi «bravi ragazzi» la soluzione dei problemi più fastidiosi?
Soltanto dal maggio del 2008 allottobre del 2009 in Italia sono stati effettuati 3.630 arresti di presunti mafiosi. Negli ultimi 18 mesi si contano 1.465 fermi di soggetti accusati di appartenere alla camorra, e nello stesso periodo sono state eseguite 665 ordinanze di custodia contro il clan dei Casalesi. E ben cinque miliardi e seicento milioni di euro è il valore dei beni - tra immobili, titoli, società e depositi bancari - sequestrati dallattuale Governo a singoli esponenti e clan della criminalità organizzata. Questo solo per citare alcune cifre a conferma, e al netto dei pregiudizi, di quello che lo Stato ha fatto e sta facendo contro mafia, ndrangheta e camorra. Dati e fatti, non parole e chiacchiere. A gettare fango su tutto questo non può bastare la dichiarazione sospetta e tardiva di un pentito. Le cifre e i risultati delle operazioni di polizia «suggeriscono» che Silvio Berlusconi non sia sceso a compromessi con le cosche, ma le abbia colpite al cuore come nessuno prima di lui. Ieri come oggi.
È stato per limpegno del governo e lefficienza delle forze dellordine (e grazie anche allazione degli 007 dellAisi, lAgenzia informazioni e sicurezza interna) che ieri il superlatitante di Cosa Nostra Giovanni Nicchi è finito in manette a Palermo. Ed è stato per lo stesso impegno e la stessa efficienza che quasi in contemporanea a Milano veniva catturato il superboss Gaetano Fidanzati. Due tentacoli tra i più insidiosi della piovra. Tagliati di netto. Due operazioni esemplari che abbassano a 22 i ricercati dellelenco dei trenta esponenti della criminalità organizzata considerati più pericolosi. Segno che non si tratta del caso o della buona sorte, ma di una strategia di lotta alla mafia precisa e studiata ben prima dellinizio dello show di Gaspare Spatuzza; e adesso il ministro dellInterno Roberto Maroni annuncia che «rimane solo il numero uno, Matteo Messina Denaro. Sono convinto che prenderemo anche lui molto presto».
Mai gridare vittoria. Ma lentamente, inesorabilmente, la mafia perde pezzi. La lista «most wanted» dei boss si accorcia. I quadri di Cosa nostra si assottigliano.
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