Milano - Una lunga contabilità delle tangenti. Mazzette che sarebbero state versate dal 1997 al 2003 da Piero Di Caterina - titolare della società di trasporti pubblici Caronte srl, e gola profonda dell’inchiesta della Procura di Monza sul «sistema Sesto» - all’ex vicepresidente del consiglio regionale lombardo Filippo Penati. A colpi di pochi milioni, ma anche con versamenti a nove zeri. In totale, mette a verbale l’imprenditore, 2 miliardi e 235 milioni di lire. Tutto segnato su un foglio A4 che di Caterina ha consegnato ai magistrati. La lista della «spesa».
La cifra più consistente destinata a oliare i meccanismi della politica - tra quelle legate a operazioni edilizie nella aree ex Falck e Marelli e alla gestione del Servizio Integrato Trasporto Alto Milanese - sarebbe di un miliardo di lire. Sul documento ora in mano ai pm, accanto all’indicazione «crediti verso Penati/Vimercati» sono riportati i numeri: oltre al miliardo, Di Caterina avrebbe versato in una sola tranche 450 milioni di lire, poi altri 120 milioni, 100, 79, fino ad arrivare a uno o due milioni. Il tutto per un totale, come lui stesso ha messo a verbale il 26 giugno dell’anno scorso, di circa 2 miliardi e 235 milioni di lire. Cifra che sarebbe stata poi richiesta indietro da Di Caterina e «restituita» in parte anni dopo, tramite una «finta» caparra immobiliare versata da Bruno Binasco, amministratore del gruppo Gavio (anche lui sotto inchiesta), su richiesta dello stessa Penati.
In uno dei suoi tre verbali (due dell’estate scorsa, uno di qualche mese fa), Di Caterina racconta come con Giuseppe Grossi (il re delle bonifiche arrestato nell’inchiesta sul quartiere milanese di Santa Giulia) e Giovanni Camozzi (uno dei legali dell’immobiliarista Luigi Zunino) aveva messo a punto alcuni contratti di vendita degli immobili e quello di marketing territoriale studiato per versare, nel 2005, a Pasqualino Di Leva (assessore del Comune di Sesto) 1,5 milioni di euro, da destinare ai partiti. «Mi contestate che le operazioni bancarie relative ai soldi da me ricevuti da Icr (Immobiliare Cascina Rubina, ndr) e dati a Grossi - spiega Di Caterina agli inquirenti - hanno un senso solo se tutte le operazioni fatte dalle mie società con Icr, vale a dire il contratto di marketing territoriale e i contratti di vendita degli immobili vengono letti come un’unica operazione avente come funzione quella di creare delle provviste per provvedere al pagamento dei politici ovvero da restituire a Grossi, nonchè miei vantaggi economici, e dico che avete ragione in quanto tutti i contratti da voi citati sono il frutto di una trattativa complessa tra me, Grossi e Camozzi e che una parte delle somme doveva essere retrocessa».
Ancora, il titolare della Caronte, il 16 febbraio, ammette di aver accettato di entrare in una piccola operazione immobiliare a Sesto, nel quartiere Pelucca, «per mantenere il favore di Di Leva in funzione della mia protezione all’interno del Consorzio Trasporti Pubblici». Dove - secondo l’imprenditore - a decidere erano «per il comune di Sesto San Giovanni gli uomini forti, cioè il sindaco Oldrini, il direttore generale Bertoli e l’assessore Di Leva».
Da accusato ad accusatore, Filippo Penati prova a ribaltare la scena.
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