Politica

«Ecco perché l’antifascismo non è un valore»

Il ricordo da ex ufficiale della Repubblica di Salò: «Quei ragazzi parte viva della gioventù italiana»

nostro inviato a Bergamo
«Con quelle parole è Fini ad essersi messo fuori dal partito». Mirko Tremaglia è la memoria storica di Alleanza nazionale. Sul tavolo della sala di casa, accanto alle foto di Giorgio Almirante e dell’adorato figlio Marzio, tragicamente scomparso a 42 anni, ci sono quelle con Gianfranco Fini, a cui è legato da un rapporto profondo di amicizia e affetto. Ma qualcosa, stavolta, sembra essersi spezzato definitivamente. «Non può negare i valori che hanno ispirato la sua azione per tanti anni. È un grave errore il suo, vorrei capire meglio le ragioni di questo gesto».
Ma l’antifascismo non è un valore da difendere?
«No, l’antifascismo non è un valore. Bisogna pensare al clima in cui è nato l’antifascismo, un contesto di contrapposizione e di odio tra italiani. Da quell’odio non può nascere qualcosa che rappresenti un valore».
Allora lei è d’accordo con i giovani di An che hanno rifiutato la linea Fini?
«Certamente, ho molta fiducia in loro per il futuro della destra in Italia. Una volta si chiamava in modo sprezzante “manovalanza fascista”, che non contava niente. Ma loro sono intelligenti, preparati e organizzati. Vorrei che questo moto d’orgoglio non finisse massacrato e oscurato, come accade sempre».
Ma il partito è con Fini o contro di lui?
«Dopo quello che ha detto penso che la maggioranza dentro An sia contro di lui. Il principio che ci ha ispirato, fin dalle origini del Msi, era riassunto in una frase: “Non rinnegare, non restaurare”. Era un impegno per costruire la nazione dopo una guerra civile che aveva messo contro tra di loro gli italiani, un periodo estremamente complesso che è ancora tutto da interpretare».
E Fini ha “rinnegato”?
«Sta negando l’impegno che lo aveva contraddistinto. Ma non può farlo. Mi ricordo il nostro primo viaggio ufficiale negli Stati Uniti, nell’ottobre 2005. Riuscimmo a farci portare al cimitero di Arlington, sulle tombe dei caduti, e con i marines sull’attenti Fini mi disse, commosso: “Vedi Mirko, anche i marines rendono onore a un combattente di Salò”. Cosa è cambiato da allora?».
Sarà ancora Fini il leader di An?
«Penso che a questo punto non possa più ricoprire quel ruolo. Ora c’è bisogno di un’intesa tra i gruppi giovanili rappresentati da Giorgia Meloni, e poi La Russa e Alemanno».
Per una nuova leadership?
«Solo così può avere un senso la destra in Italia»
E Fini?
«Bella domanda... ».
Senza risposta. Ha assistito alle polemiche su Salò?
«Sono ferite aperte. Con La Russa avevamo pensato a una celebrazione per i caduti di Salò, poi non se ne è fatto più niente. Non ci sono morti di serie A e serie B, è giusto portare rispetto per i morti partigiani e per quelli della Rsi».
Lei era ufficiale della Repubblica sociale.
«Ci presentammo subito volontari io e i miei due fratelli. Mia madre capì... Vivevamo già in questa casa. Volevamo difendere l’Italia, combattere. Ci animavano degli ideali. I ragazzi di Salò hanno rappresentato una parte viva e eccezionale della gioventù italiana. Ho rivisto qualcosa di quello spirito recentemente».
Dove?
«Quel ragazzo che ha vinto il gran premio di Monza, quel Vettel».
Ma è tedesco.
«Sì ma quando ha vinto poi ha cantato l’inno italiano, ha salutato l’Italia perché la sua macchina è italiana. In quel ragazzo ardito e coraggioso ho rivisto quei nostri valori».
Torniamo a lei. Dopo il ’45?
«Io ero iscritto a legge, all’Università cattolica di Milano. Venni cacciato quando si seppe che ero stato nella Rsi. Eppure padre Gemelli (Agostino Gemelli, fondatore dell’ateneo milanese, ndr) era fascista».
Altri problemi?
«Qui a Bergamo ci fu un periodo molto difficile per noi. Era pericoloso girare per la città. Subimmo molte aggressioni. I giovani missini pagarono di persona la loro scelta, molti sono stati ammazzati».
Lei fu anche prigioniero in un campo di prigionia americano.
«A Coltano. Fu durissimo. Una volta ci trasferirono da Aversa a Pisa. Ci lasciarono tre giorni in un vagone di un treno, senza cibo, con l’acqua nei bidoni della benzina, imbevibile, con condizioni igieniche spaventose. Ricordi tremendi».
Si sente tradito da Fini?
«Non sono convinto che pensi davvero quello che ha detto. Forse ci sono altre ragioni che lo hanno spinto a dire quelle frasi.

Ma adesso il partito deve trarre le giuste conclusioni».

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