Milano - Dunque l’avevano dato per morto. Avevano detto: il rock è finito, basta, stop, che noia quelle schitarrate. E invece bastava fare due passi ieri pomeriggio davanti al Forum di Assago, vicino a Milano, zona così isolata che ci si deve arrivare apposta, mica per caso. C’era il concerto degli ultracinquantenni Ac/Dc organizzato dalla Barley Arts, una delle poche agenzie che ci ha sempre creduto, e la gente fuori era una processione euforica, dodici, tredicimila persone che aspettavano da mesi l’evento (domani la replica) e se lo sono goduto dal primo all’ultimo minuto. Il rock è morto? Lo dicevano. Ma in tutto il mondo i biglietti per i concerti degli Ac/Dc sono andati esauriti in pochi minuti e il loro nuovo cd Black Ice è stato uno dei più venduti dell’anno, nonostante sia arrivato solo a metà ottobre. Di più: gli Ac/Dc sono stati il gruppo che nel 2008 ha venduto più copie nel mondo, oltre dieci milioni (più di cinque di Black ice e cinque di repertorio) facendo la metà della metà di promozione rispetto ad altri musicisti tipo Coldplay o Britney Spears. Quindi: meno spese e più incassi.
Che cosa vuol dire? Che l’universo musicale legato alla chitarra e al modo tradizionale di suonarla è vivo e vegeto, anche se magari piace di meno alle radio o ai critici musicali sempre affamati di novità purchessia. Insomma, è una di quelle dimostrazioni che spesso il crepaccio tra informazione e gusti del pubblico è così profondo da lasciar precipitare nel silenzio anche eventi o tendenze che meriterebbero attenzione. D’altronde nel 2008 i promoter di tutto il mondo si sono letteralmente sbranati per poter organizzare una tournée dei Led Zeppelin (poi smentita), dopo aver gestito due tour mondiali dei Police e migliaia di concerti rock esauriti ovunque. «Una volta erano i dischi, adesso la vera miniera d’oro sono gli spettacoli del vivo» dicono gli esperti, gli stessi che fino a tre anni fa predicevano la fine dei grandi eventi dal vivo. E si potrebbe aggiungere un’altra considerazione.
Nessun altro genere musicale è riuscito a fidelizzare il pubblico come il rock. Spieghiamoci: ieri sera ad Assago c’erano tanti spettatori che da trent’anni non si perdono un concerto degli Ac/Dc e magari erano già sugli spalti del Comunale di Torino nel 1983 o al Monsters of Rock del 1990. E così vale per tantissime altre band, dai Rolling Stones agli Eagles e poi via via fino ai più giovani Pearl Jam e Green Day (dopotutto una band da 60 milioni di copie vendute) e naturalmente agli U2. Se poi considerate che il loro pubblico medio - nettamente over 30 - è rimasto l’ultimo che ancora acquisti quasi esclusivamente cd, il gioco è fatto. Le band che discendono dai quattro grandi rami dell’albero genealogico del rock (rock’n’roll, hard rock, punk e nuovo rock) sono i veri catalizzatori di folle ai concerti, fatte salve le eccezioni glamour alla Madonna. Ma forse la spiegazione ha anche un retroscena sociologico. In una fase storica confusa, questi musicisti sono punti di riferimento. Non soddisfano la nostalgia, ma aiutano a sfogliare l’album dei ricordi di una vita, avvolgendoli di colore. Regalano, insomma, quel senso di appartenenza che altri generi musicali, come l’hip hop, non sanno dare perché sfuggono la ritualità bonaria del rock e, soprattutto, garantiscono quella sensazione che è vitale per chi si mette in contatto con il pubblico: l’unicità.
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