L'ideologia woke, nei suoi aspetti deteriori, e la cancel culture possono sembrare uno sviluppo molto recente della modernità, quasi un'involuzione imprevedibile della cultura occidentale, sacrosanta, dei diritti. Eppure un romanzo edito nel 1907, molto difficile da incasellare in un genere, ma sicuramente con un nocciolo duro di fantascienza distopica, è riuscito a prevedere molti degli aspetti deteriori della cultura omologante e del «bene a tutti i costi» in cui siamo immersi. Si tratta di Il padrone del mondo di Robert Hugh Benson. Un libro balzato all'onore della cronaca qualche anno fa quando venne ripetutamente citato da Papa Francesco. Il Pontefice identificò nel libro di Benson un potente monito contro l'omologazione: «Lo scrittore ha visto questo dramma della colonizzazione ideologica e lo descrive in quel libro».
Allora vale la pena compulsare le pagine di Benson per capire quanto siano profonde le radici dello sgretolamento culturale in cui ci troviamo e come fossero tutt'altro che imprevedibili.
Ma partiamo dall'autore e da quel minimo di biografia che consente di spiegare l'opera. Robert Hugh Benson (1871-1914) era il quarto e ultimo figlio di Edward White Benson, pastore anglicano e Cancelliere della Cattedrale di Lincoln e in seguito arcivescovo di Canterbury, massima autorità della Chiesa d'Inghilterra. Veniva quindi dal livello più alto dell'élite britannica e da una famiglia di ampi interessi culturali. Uno dei suoi fratelli fu un celebre archeologo e scrittore umoristico. Robert studiò a Eton e, dopo aver cercato di entrare, un po' per finta a dir la verità, nell'Indian Civil Service, si laureò al Trinity College di Cambridge dove, a sorpresa, maturò un interesse per la teologia finendo per diventare presbitero della Chiesa anglicana. Ma la vocazione religiosa di Benson non riusciva a trovare nell'orizzonte della Chiesa d'Inghilterra la sua misura. Nel 1903 avvenne una sofferta conversione al cattolicesimo, motivata dal fatto che la Chiesa di Roma era maggiormente universale e molto meno universalista. E nell'universalismo Benson vedeva proprio la scelta di cedere ai valori caratterizzati da una sorta di buonismo vuoto e generico. Insomma, uno svuotamento di senso ammantato di finto umanesimo che se ai primi del Novecento era sotto traccia oggi si vede bene.
E allora cosa c'è nel Padrone del mondo ambientato all'inizio del Ventunesimo secolo? C'è un futuro che in Europa e in Gran Bretagna è diventato molto ovattato. Appartamenti dotati di ogni comfort, politici che mantengono una pace sociale senza scossoni. Le religioni ridotte a un ricordo del passato e sostituite da una sorta di credo civile dove al centro di tutto c'è l'uomo e il suo mero benessere. Tutto è ridotto a unità di produzione e il meglio che ci si possa aspettare dalla fine della vita è una bella eutanasia. Gli spigoli dell'esistenza, quindi, sono stati tutti limati, si parla tutti felicemente in esperanto, quel che conta è non dare mai seguito a convinzioni forti che possano spaccare la società. Tanto più se sono convinzioni religiose.
Ma fuori dall'Europa è cresciuto un Impero d'Oriente di terribile forza militare dove le convinzioni religiose sono tutt'altro che tiepide, anzi danno il via a feroci scontri. In quest'Europa tiepida e perbenino che è cosa ben diversa da per bene, restano due speranze: l'aiuto dell'America e Julian Felsenburgh. Un individuo misterioso che dovunque arrivi riesce a portare la pace, un'adorante concordia materialista. A tutto questo sono sostanzialmente capaci di ribellarsi solo i cristiani, forti della loro tradizione. Verranno spazzati via da Felsenburgh che si rivelerà né più né meno che l'Anticristo. Un finale cupissimo in cui si respira una certa dose di millenarismo cattolico.
Ma al di là della nettissima contrapposizione tra fede e materialismo che anima Benson, quella di cui Papa Francesco ha colto tutti gli echi - è bizzarro che Bergoglio venga sempre sbrigativamente etichettato come un «modernista» - nel romanzo esistono suggestioni che possono far riflettere anche qualsiasi ateo o agnostico (come lo scrivente). Benson con più di cento anni di anticipo ci ha avvisato che se si cancella il passato (nel libro ci sono statue e pezzi di storia rimossi) non si capisce più il presente. Benson ci ha avvisato con cent'anni di anticipo che un'unità europea che non salvaguardi le differenze è solo fragilità. Benson ci ha avvisato che non si può medicalizzare tutto, riducendo l'esistenza a un'insostenibile salutismo che sfocia nella bella morte. Se lo si fa si va incontro al disastro.
Soprattutto se ci si trova ad affrontare un pezzo di mondo in cui il radicalismo trionfa o, peggio, se ci si trova ad affrontare dei «profeti» che possono raccontare qualunque cosa perché non c'è riflessione e non c'è memoria, ma solo conformismo ideologico. Anche senza scomodare l'Anticristo, possono essere molto pericolosi. E Benson di ciò ci aveva avvisato in modo più che chiaro.
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