Ecco gli sbagli dell’Unione dei «pacifinti»

nostro inviato a Vicenza
Finisce in guitteria, con il premio Nobel Dario Fo che si sgola con una canzone anticlericale, e la moglie Franca Rame, senatrice dipietrista, che come una qualsiasi Ambra si fa suggerire da un auricolare le cose da ripetere sul palco. Finisce con questa parlamentare della maggioranza che prorompe in un’imitazione (perfetta ed esilarante) dei borbottii di Prodi e tuona: «Il presidente del Consiglio deve chiedere scusa. La sua unica via d’uscita è riconoscere di avere commesso un errore. Sarebbe un gesto straordinario, degno di un leader saggio che ascolta la gente. Riguadagnerebbe la fiducia parzialmente persa in questi mesi. Noi italiani vogliamo la pace e vogliamo perseguirla allontanando chi la minaccia ogni giorno». Cioè i soldati americani.
A Vicenza la grande manifestazione contro la base militare Usa all’aeroporto Dal Molin finisce nelle parole imbarazzate dei tanti politici presenti davanti agli striscioni a sostegno dei 15 arrestati per terrorismo: «Libertà per i rivoluzionari», «Libertà per i compagni», «Fuoco alla Nato», «Governo di destra o di sinistra, chi bombarda è il vero terrorista», «Lotta contro il padronato, il governo Prodi, basi e guerra», «Potrei diventare americano solo se bombardassero anche il Vaticano». È il corteo dove i Carc, i Comitati di appoggio alla resistenza per il comunismo sospettati di contiguità con le frange terroristiche, possono allestire tavolini dove raccolgono firme contro le carceri e vendono a tre euro opuscoli su Engels in cui annunciano la ripubblicazione dei libri degli ex brigatisti Gallinari e Seghetti.
Finisce con la solita disputa sulla partecipazione, 150mila per i promotori, 80mila per la questura: forse erano 100mila. Finisce anche senza incidenti, con l’eccezione di un petardo lanciato verso la questura dagli attivisti dei centri sociali di Torino: la presenza massiccia ma discreta delle forze di polizia e il presidio del servizio d’ordine di Cgil e Rifondazione hanno allontanato gli allarmi lanciati dal Viminale. È la sfilata dell’orgoglio: contro l’America, contro il militarismo, contro il sistema. E soprattutto contro il governo. I 100mila manifestanti hanno marciato lungo la circonvallazione di Vicenza per contestare il raddoppio della base militare ma in realtà se la sono presa con il «governo luamaro» (è il letamaio veneto), il governo dei «pacifinti», degli «indietro miei Prodi».
Un corteo lunghissimo, colorato, con la dominante rossa delle bandiere di Rifondazione, dei Comunisti italiani, della Cgil. Per trovare qualche contestazione a Berlusconi bisogna rovistare tra le bancarelle e sui furgoncini dove si vendono magliette made in China con le scritte «Io non ho votato Berlusconi» in dieci lingue, esposte accanto ai faccioni di Che Guevara e alle scritte per Silvia Baraldini libera.
Sfilano centinaia di sigle, un arcipelago di gruppuscoli e movimentini. Fiom e Cgil, Carovana per la Costituzione, Statunitensi contro la guerra, Sinistra critica, Mamme antifasciste del Leoncavallo, Arci, l’elenco è lunghissimo. E comprende una miriade di gruppi comunisti, dall’Organizzazione comunista internazionale al Partito comunista dei lavoratori (quello di Marco Ferrando), dal Coordinamento lavoratori comunisti al Partito di alternativa comunista. Sfilano tutti i «no» d’Italia: no all’alta velocità (25 pullman dalla Val Susa), all’autostrada in Carnia, al prolungamento della Valdastico, all’antenna Raiway in Etruria, al nuovo traforo del Brennero.
È la fantasia al potere, almeno quanto ai cartelli. Slogan matematici: «Se la base si allarga l’ipotenusa s’incazza». Romantici: «Fate l’amore non fate le basi». Giochi di parole: «Dal Molin decisione sinistra», «Ci hanno USAti». È anche il giorno dell’autofinanziamento: magliette 10 euro, bandiere di Palestina, Irak e Cuba idem (ma per quelle arcobaleno ne bastano sette); giornali a 2 euro, bottiglie di vino 5, panini e birre 1,5, acqua minerale 50 centesimi. Ma a fine giornata proprio l’acqua risulta la meno venduta. «A casa mia la beve solo la lavatrice», spiega un rasta che impugna un bottiglione di rosso.
Il corteo parte poco prima delle 14, le avanguardie arrivano attorno alle 16. Sul palco di Campo Marzio si suona in attesa di Dario Fo e Franca Rame.

E mentre i primi treni speciali ripartono, Fo si sfoga con uno swing contro il vescovo: «Per decenni questa curia ci ha impedito di recitare. Faceva strappare i manifesti e chiudere il teatro». Ci voleva Prodi al governo per regalare ai vicentini questo mistero buffo di un Nobel da caserma.
Stefano Filippi

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