Cronaca locale

Ecco la stangata dei pm per le "briciole" della Mensa dei poveri

L'accusa ammise che le cifre in ballo erano modeste, ma chiede condanne pesanti

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Verrebbe da dire: e meno male che si trattava di «briciole»; che nel processo denominato «Mensa dei poveri» la stessa Procura avesse ammesso, nella sua requisitoria, che al centro dell'inchiesta c'erano somme modeste, «rispetto alle cifre con cui questo ufficio è abituato a confrontarsi». Perché ieri, a conclusione della loro requisitoria, i pubblici ministeri Stefano Civardi e Silvia Bonardi chiedono al tribunale condanne assai pesanti per buona parte dei politici imputati, tutti di Forza Italia: cinque anni e mezzo per l'eurodeputata Lara Comi, tre e mezzo per l'ex consigliere regionale Fabio Altitonante, addirittura sette per l'ex consigliere comunale Pietro Tatarella. L'unico di cui secondo i pm il processo ha dimostrato l'innocenza almeno dall'accusa più grave, il reato di corruzione, è l'ex deputato Diego Sozzani: ma la Procura chiede comunque che gli vengano dati due anni di carcere per finanziamento illecito.

La «mensa dei poveri», nel lessico dell'indagine, era «Berti»: il ristorante sotto Palazzo Lombardia dove spesso pranzano i consiglieri regionali, e dove le microspie della Guardia di finanza hanno registrato decine di incontri e trattative. Protagonista di buona parte di essi, Gioacchino Caianiello, già coordinatore azzurro a Varese, divenuto il principale testimone d'accusa e cavatosi d'impiccio patteggiando la pena e uscito dal carcere. Invece Daniele D'Alfonso, imprenditore dei servizi ambientali, indicato dai pm come principale complice di Caianiello nella associazione a delinquere finalizzata alla «sistematica attività di corruzione» dei politici si vede presentare ieri dalla Procura un conto assai più pesante: nove anni e dieci mesi di carcere, la più altra tra le richieste di pena avanzate.

Come la pm Bonardi aveva spiegato nell'udienza precedente, molte delle decine di reati ipotizzati inizialmente si sono dimostrati talmente inesistenti che gli stessi pm chiedono l'assoluzione dei relativi imputati. Si tratta soprattutto delle gare d'appalto che secondo la Procura erano state truccate, e che magari sono andate davvero ai vincitori desiderati dal «cartello» delle aziende: ma, ammettono i pm, non c'è prova che siano stati commessi reati. Così fioccano anche le richieste di assoluzione, ventisei, quasi la metà degli imputati. Tra questi, anche alcuni come il funzionario Amsa Pier Sergio Arrigo nelle tesi iniziali ricopriva un ruolo importante, e di cui viene chiesta l'assoluzione piena. Per il suo superiore Mauro De Cillis vengono invece chiesti tre anni.

«Una richiesta di pena esorbitante e non motivata», dice il legale della Comi, Gian Piero Biancolella, che nella sua arringa si prepara a chiedere l'assoluzione piena.

Assoluzione piena chiederà anche Massimo Dinoia, legale di Sozzani, che per ora si dichiara soddisfatto per la caduta dell'accusa di corruzione.

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