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Ecco il vero obiettivo dell’asse Parigi-Berlino: commissariare l’Europa

Dietro il progetto di un nuovo organismo si nasconde il tentativo di prendere solo in due le decisioni che contano

Ecco il vero obiettivo 
dell’asse Parigi-Berlino: 
commissariare l’Europa

L'incontro di ieri tra Nicolas Sarkozy e Angela Merkel rischia di aggravare una situazione già difficile, dato che il progetto di un direttorio chiamato periodicamente a valutare le scelte economiche dei differenti Paesi crea più problemi di quanti non ne risolva.
In primo luogo, bisogna chiedersi cosa può venire da un'Europa costruita sull'alleanza franco-tedesca e sulla marginalizzazione degli altri Paesi membri. Dato che il Regno Unito non ha aderito all'euro e che l'Italia è indebolita dal ricorso agli aiuti della Bce, dei quattro Paesi maggiori ne sono rimasti al centro della scena solo due: con la conseguenza che il nucleo forte dell'Unione si colloca sull'asse Parigi-Berlino. Ma in queste due capitali europee non ci si rende conto che l'unico modo per salvaguardare un'alleanza o un ordine federale consiste nel valorizzare, dando loro un peso proporzionalmente maggiore, le realtà numericamente più deboli. Negli Stati Uniti e in Svizzera, ad esempio, ogni Stato o cantone elegge due senatori: quale che sia il numero degli abitanti. Una decisione a due che prescinda dal resto d'Europa, insomma, è contro ogni buona regola ed è solo gravida di tensioni nazionalistiche.
Per giunta, l'Europa di tutto ha bisogno meno che di ricette economiche di taglio «renano». Per molte ragioni, la Germania e ancor più la Francia esprimono una netta avversione al mercato e alla globalizzazione: si tratta di sistemi economici caratterizzati da un forte intreccio tra Stato ed economia, e che tendono a proiettare anche negli altri Paesi le loro ricette. Ma questa logica è più parte del problema europeo, che di una sua possibile soluzione.
Vi è inoltre il fatto che la crisi attuale dei debiti sovrani è stata in larga misura ampliata dalla decisione di dar vita, a partire dal 2002, a una moneta comune. La crisi greca, ad esempio, non sarebbe stata così importante se avesse riguardato solo la dracma, e lo stesso si può dire per l'Italia e la Spagna. Dopo aver costruito un'unificazione monetaria che ha creato seri rischi sistemici, ora si vuole premere ancor più l'acceleratore in direzione dell'unificazione. La cosa si può in parte comprendere, dato che i tedeschi vogliono monitorare le economie che stanno aiutando. Ma una soluzione assai più liberale consisterebbe nell'eliminare gli aiuti, e non già nell'unire ai sussidi una sorta di «protettorato» finanziario.
Invece che pretendere più serietà dagli attori nazionali e chiamarli a rimediare alle situazioni in cui si sono cacciati, con una mano li si sovvenziona e con l'altra si pretende di limitarne l'autonomia. Senza calcolare le conseguenze politiche che possono derivarne.
C'è infatti qualcosa di irresponsabile nell'idea di questo «super-governo» a guida francese e tedesca. È come se gli europei fossero prigionieri del dogma dell'unità da costruire, avendo dimenticato che una parte rilevante del loro successo è derivato proprio dalla competizione tra sistemi politici ed economici distinti.
All'Eliseo, ieri, si è giocato con il fuoco. C'è da sperare che il progetto perda alla svelta il proprio slancio, perché non bisogna certo muoversi verso un super-Stato europeo, ma dare maggiore autonomia ai vari livelli di governo.

Sempre che non si voglia accelerare il declino del Vecchio Continente.

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