Finanza sostenibile

Sostenibilità e Paesi in via di sviluppo: una sfida da 200 miliardi

200 miliardi di dollari: queste le risorse che secondo Fmi e Banca Mondiale serviranno per alleviare la crisi climatica e portare la finanza sostenibile nei Paesi poveri da qui al 2050. Una sfida fattibile?

200 miliardi di finanziamenti: il "costo" della sostenibilità nei Paesi in via di sviluppo

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200 miliardi di finanziamenti: il "costo" della sostenibilità nei Paesi in via di sviluppo

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Una sfida da 200 miliardi di dollari per promuovere lo sviluppo sostenibile dei Paesi a economia emergenti e combattere i cambiamenti climatici. Gli impegni richiesti per raggiungere i target climatici delle Nazioni Unite nell'ex "Terzo mondo" potrebbero essere estremamente onerosi e, secondo alcuni critici, addirittura eccessivi per armonizzarsi completamente con le disponibilità finanziarie dei Paesi in questione. A patto di non caricare di ulteriori oneri le organizzazioni multilaterali e i Paesi più avanzati.

Sono queste le conclusioni del summit di Parigi sul New Global Financial Pact che Emmanuel Macron, presidente francese, ha proposto alla Cop27 di Sharm-el-Sheik per aprire alla cooperazione multilaterale tra grandi economie e piccoli Paesi, tra Stati dallo sviluppo consolidato e nazioni in via di sviluppo, tra organizzazioni multilaterali, governi e imprese in nome di una battaglia comune. Tenutosi dal 22 al 23 giugno nella capitale transalpina, il summit ha visto l'impegno di grandi organizzazioni come il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale a mettere in campo 100 miliardi di dollari per lo sviluppo sostenibile entro il 2050, a patto di un crescente contributo degli Stati più ricchi alla loro procedura di finanziamento.

"Le fonti di emissioni – storicamente e ora – sono principalmente nelle economie avanzate", ha detto al summit Kristalina Georgieva, governatrice del Fondo Monetario Internazionale. Ma "dov'è prodotta la maggior parte dell'impatto climatico? Tragicamente, in Paesi che non hanno fatto nulla per creare il problema. Dobbiamo costruire un ponte per aiutare ad affrontare questo problema di squilibrio", ha aggiunto l'economista bulgara. Inserendo - ed è notevole - anche la Cina, prima economia globale, nel novero dei Paesi più avanzati al fianco dell'Occidente. La responsabilità non è solo del G7 e del mondo ad esso collegato. In quest'ottica sia l'Occidente che le grandi economie del pianeta non legato ad esso, come Cina, India e Brasile, possono e devono essere parte della soluzione in nome della risoluzione del debito ecologico contratto dalle maggiori nazioni.

"Il documento finale del vertice ha chiesto che ogni dollaro di prestito da parte delle banche di sviluppo sia accompagnato da almeno un dollaro di finanziamento privato, che secondo gli analisti dovrebbe aiutare le istituzioni internazionali a sfruttare ulteriori 100 miliardi di dollari di denaro privato nelle economie in via di sviluppo ed emergenti", ha scritto Reuters. Il partenariato pubblico-privato può essere dunque la via per aumentare la resilienza dei Paesi in via di sviluppo e, soprattutto, sviluppare le capacità di mercato locali che possono insegnare agli Stati in via di sviluppo la via per giocare da protagonisti nel contesto Esg e della nuova finanza mondiale.

Il punto sarà, in futuro, capire se il Ngfp andrà a concludersi in un nuovo accordo multilaterale o se resterà una dichiarazione d'intenti dopo questo summit. Nessuna parte in causa ha siglato nulla di vincolante, ad ora, anche se l'impegno è sicuramente corposo e tutto da valutare sul peso dei bilanci pubblici dei Paesi membri. Da segnalare, invece, la strada pragmatica scelta da Stati Uniti e Cina, per una volta dalla stessa parte della barricata: le due superpotenze, nota Reuters, "a lungo in disaccordo su come affrontare le ristrutturazioni del debito per i paesi poveri – hanno raggiunto un accordo storico per ristrutturare 6,3 miliardi di dollari di debito dovuto dallo Zambia, la maggior parte dei quali dovuti alla Cina" e dare un esempio su un altro strumento che può essere usato per permettere agli Stati più poveri di affrontare la crisi climatica: svincolarli dai debiti per permettere loro di investire in transizione energetica e finanza sostenibile.

Avvicinandosi, quindi, ai parametri Onu anche con le proprie forze.

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