Economia

Il 2003, la caduta di Berezovskij e l'arrivo di Abramovich: l'ascesa degli oligarchi di Putin

Nel 2003 Roman Abramovich soppiantò Boris Berezovskij in testa al potere finanziario russo, e con lui i nuovi oligarchi filo-Putin sbarcarono in Occidente.

Il 2003, la caduta di Berezovskij e l'arrivo di Abramovich: l'ascesa degli oligarchi di Putin

Gli oligarchi russi oggi sotto assedio per le sanzioni occidentali alla Russia sono una componente fondamentale del sistema di potere di Vladimir Putin. Un gruppo ristretto di miliardari, finanzieri, Paperoni di Russia sbarcati in forza in Occidente nei primi Anni Duemila, molto diversi dai robber barons che saccheggiarono la Russia dell'era Eltsin. Gli oligarchi degli Anni Novanta erano cacciatori di tesori pubblici in svendita da parte dello Stato, quelli del Duemila figli del nuovo, arrembante Stato di Putin. Desiderosi, come lo Zar del Cremlino, di partecipare nei primi Anni Duemila alla grande festa della globalizzazione.

Gli oligarchi di Putin hanno soppiantato quelli dell'era Eltsin che non si sono conformati al nuovo corso gradualmente e inesorabilmente. Non senza strappi radicali. C'è una data simbolo in questo percorso, ed è quella del 2003. Al centro della scena, la capitale del mercato russo all'estero, Londra. Per molti, prima della Grande Crisi, Londongrad. Va in scena, nella capitale londinese, un dramma con due protagonisti. Da un lato, uno degli oligarchi simbolo degli Anni Novanta: Boris Berezovskij. Figura ombrosa e discussa, Berezovskij ha accumulato un patrimonio di 3 miliardi di dollari trasformadosi da manager a proprietario di diverse imprese di Stato, tra cui l'emittente televisiva Channel One. Sponsor di Eltsin e del primo Putin, ha rotto con quest'ultimo firmando la condanna a morte del proprio business. Dall'altro, un giovane e ambizioso 37enne glamour, di bella presenza e molto attento alla cura della sua immagine, Roman Abramovich. Rampollo di Berezovskij, ne ha usato la popolarità come un taxi. Col sostegno delle banche del magnate, il più giovane degli oligarchi, imprenditore fin dalla giovane età quando si occupava di import export, ha acquisito la quota di controllo della compagnia petrolifera Sibneft per diverse decine di milioni di dollari, ma al contrario del suo ex patrono ha scelto di venire a patti con lo Stato.

Vladimir Putin sa che il consenso, in Russia, scorre per le tubature dei gasdotti e per le rotte del petrolio. Nel 2002 offre ad Abramovich una cifra-monstre per la sua quota in Sibnfet: 13 miliardi di dollari. Berezovskij, indagato da due anni e accusato da media e politici vicini al Cremlino di aver rapporti con la mafia russa, chiede una prova di fedeltà ad Abramovich. Questi rifiuta e scende a patti con Putin, di cui diventerà fedelissimo alleato. Il perimetro è tracciato: potere politico e strategico allo Zar, potere economico ai nuovi oligarchi non più semplicemente predoni, ma alleati dello Stato. Tra Abramovich e Berezovksij è rottura. Entrambi si ritroveranno, a distanza, a Londra: il grande vecchio degli Anni Novanta ottiene l'asilo politico dal governo di Tony Blair, mentre il suo impero in patria viene conquistato, Abramovich invece dirotta attraverso la holding Evraz verso la City i suoi fondi. E proprio da Londra si fa conoscere al mondo: nel 2003, acquistando la squadra di calcio del Chelsea, Abramovich fa scoprire alg rande pubblico gli affari degli oligarchi di nuova generazione. Uomini d'affari e uomini di mondo, russi globalizzati che dal matrimonio con lo Stato vogliono trarre profitto. Vladimir Putin è l'amministratore delegato della Cremlino S.p.a, i top manager sono i generali, i vertici dei servizi segreti e, soprattutto, gli oligarchi a lui fedeli. Il putinismo traccia una linea: da un lato, Abramovich e gli altri, coloro che hanno scelto di portare le loro attività sotto lo Stato o di conformarsi alle sue direttive, pensando alla politica solo in termini complementari al Cremlino. Dall'altro, Berezovskij e gli altri Zar decaduti degli Anni Novanta.

Per una strana eterogenesi dei fini, entrambi i "partiti" scelgono Londra come base. I primi per conquistare i cuori e le menti dell'Occidente e seguire le rotte che portano verso le Isole Cayman, le Isole Vergini, Jersey e Guersney e tutti gli altri paradisi fiscali. I secondi per il secondo, spesso inconfessabile motivo, e per marcare a vista i loro nemici. Tra i primi spiccano Dmitri Lebedev, finanziere e presidente del consiglio di amministrazione di Rossiya, considerata una delle banche private del Cremlino, e Oleg Deripaska, signore dell'alluminio intento a incontrarsi in continuazione con i big della politica britannica. Nel secondo partito, invece, il decaduto Berezovskij, trovato morto nel 2013 a 67 anni in un caso archiviato come suicidio, e Mikhail Khodorkovsky, ex proprietario della compagnie energetica Yukos, che proprio nel fatidico 2003 è stato condannato a dieci anni di prigione in Russia scontati i quali ha preso la via della City. Gran cerimoniere è stato, fino a poche settimane fa, Abramovich. Alfiere della nuova ondata di "pontieri" di Putin che hanno fatto riversare sulla finanza, il real estate, il mondo del turismo e del lusso i miliardi ottenuti dall'asse di ferro con lo Stato, gli oligarchi hanno conquistato posti di rilievo nel jet set e nella vita pubblica occidentale a partire dal 2003. Più raffinati e bon vivant dei loro predecessori, li hanno soppiantati a tutto campo.

Ed è servita solo la guerra in Ucraina per gettare luce a tutto campo su questo impero ombra, che ha la sua capitale in Londongrad. In cui vivono vecchi e nuovi boiardi, Zar di ieri e di oggi, amici e nemici di Putin. Moltiplicatisi con arrembanza da quel fatidico 2003 che col cambio della guardia tra Berezovskij e Abramovich ha segnato con forza la rivoluzione di Putin e, in un certo senso, il ritorno della Russia nella storia dopo il Far West degli Anni Novanta. L'ascesa degli oligarchi del Duemila ha sancito l'alba del putinismo, sarà la loro graduale messa al bando dall'Occidente il simbolo della sua ascesa? Ancora presto per dirlo. Quel che è certo è che la nuova partita di intrighi passante per le sanzioni avrà, nuovamente, al centro Londongrad.

Capitale finanziaria della proiezione occidentale di un gruppo di oligarchi simbolo di tutte le contraddizioni con cui la Russia, Paese diseguale e diviso, continua a convivere.

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